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Album "Apocalittici e integrati"

In questa gallery raccogliamo documenti che illustrano la genesi e la vita editoriale del saggio Apocalittici e integrati di Umberto Eco (1964), che fanno riferimento ai temi trattati nell’opera o hanno fornito una base informativa per l’autore. Questa non vuole essere un’analisi scientifica ed esaustiva di fonti e documenti utilizzati dall’autore né tantomeno un’interpretazione critica del lavoro di Eco.

Quello che qui proponiamo è il resoconto di un’esperienza di lettura e di ricerca nel patrimonio della nostra biblioteca (con alcune escursioni su altre raccolte documentarie). Non solo non c’è pretesa di esaustività, poniamo anzi una dichiarazione preventiva del fatto che maggiore attenzione si è data alla parte relativa ai fumetti, considerata più interessante e adatta al percorso di lettura del nostro gruppo, mentre canzone e TV sono trattate qui in maniera episodica. Non si fanno inoltre quasi riferimenti ai capitoli Cultura di massa e “livelli” di cultura e La struttura del cattivo gusto, che naturalmente sono però la base teorica implicata nella presentazione dei documenti da noi preparata come del lavoro di analisi dei testi - grafici, testuali e sonori - fatta dall’autore.

Dove non diversamente specificato, l’indicazione delle pagine del romanzo citate si riferisce alla prima edizione, pubblicata nel 1964.

I documenti utilizzati sono quasi totalmente conservati e consultabili presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna. Salvo dove diversamente specificato la collocazione indicata è quindi relativa a questa biblioteca.

immagine di Umberto Eco, Apocalittici e integrati (1964)
Umberto Eco, Apocalittici e integrati (1964)
«Che questo libro rappresenti una pietra miliare nello studio dei media e nella riflessione sulla società dei consumi è consapevolezza diffusa». E tautologicamente dimostrata dal fatto che la frase citata si trovi nell’Introduzione di Anna Maria Lorusso (p. 7-15: 8) a un volume, intitolato 50 anni dopo Apocalittici e integrati di Umberto Eco, che consacra proprio il cinquantenario dalla pubblicazione del libro di cui ci accingiamo a discutere. Perché se un saggio accademico viene ritenuto meritevole di essere non solo celebrato, ma anche ridiscusso dopo un periodo così lungo (il volume curato da Lorusso contiene infatti contributi di diversi studiosi pubblicati dopo alcune giornate congressuali tenutesi nel 2014), significa che ha lasciato un segno profondo e un’influenza ineliminabile in diversi campi di studio. Non a caso il contributo di Daniele Barbieri, allievo di Eco e attento studioso del linguaggio fumettistico, ha per titolo Siamo cresciuti dentro quel libro (p. 23-27). Inutile provare a riassumere i molti argomenti dell’opera di Eco e i motivi della sua importanza. Il titolo, scelto non dall’autore ma dall’editore, è ormai diventato «una vera e propria formula, che dominerà tutte le discussioni a seguire sui mass media: fumetti, televisione, computer, web. Un’endiadi che funziona ancor oggi per descrivere il campo dei pessimisti e degli ottimisti, dei critici e degli entusiasti» (Marco Belpoliti, Fortuna e storia di un titolo, in 50 anni dopo Apocalittici e integrati di Umberto Eco, p. 12-15: 12). Il significato rivoluzionario del lavoro di Eco nel 1964 in Italia è che nessuna delle due fazioni ha ragione, perché i mass media non possono essere liquidati da posizioni estremistiche, ma devono essere letti e analizzati con gli stessi strumenti critici che gli studiosi riservano a quella che al tempo era definita “cultura alta”. Solo un’analisi “seria” permetterà di comprenderne le strutture, le tematiche, i meccanismi testuali e le dinamiche della loro commercializzazione e quindi anche di individuare i testi di maggior valore e interesse. Nell’immagine a fianco, la copertina della prima edizione del libro. Si tratta della copia presente nel fondo Anceschi della Biblioteca dell’Archiginnasio, che come quella di Sette anni di desiderio, è impreziosita dalla dedica con autografo dell’autore a Luciano Anceschi.   Umberto Eco, Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, Milano, Bompiani, 1964. Collocazione: ANCESCHI A. 59, 41
immagine di Batman in copertina?
Batman in copertina?
Apocalittici e integrati viene ristampato più volte e ripubblicato in diverse edizioni. La copertina della prima edizione, a 60 anni di distanza, colpisce per la sua semplicità e l’assenza di immagini, visto che uno dei temi fondamentali del libro è proprio l’analisi di mass media in cui l’immagine è un elemento fondamentale (anche nell’analisi della canzone popolare, grande importanza ha l’immagine dei cantanti, tema base del divismo). Ma quella copertina era la normale veste grafica della collana Il portico in cui Apocalittici viene pubblicato. Le edizioni successive invece presentano copertine ben diverse e ci si può aspettare che vadano a pescare fra i tanti fumetti di cui si occupa Eco. È quindi abbastanza sorprendente - come fa notare Sergio Algozzino nel suo fumetto Umberto Eco & i fumetti (contenuto nello speciale dedicato al critico da «Linus») - che quando si deve scegliere un supereroe per illustrare la copertina di Apocalittici non si opti per Superman, vero e proprio protagonista nel lavoro di Eco, ma per Batman, di cui nel libro si parla in maniera episodica e superficiale (p. 257-258). Qui vediamo la copertina incriminata, tratta da una copia che sembra avere vissuto più battaglie di quelle affrontate dai due supereroi di punta della DC Comics. Nel 1973 viene pubblicata un’edizione abbreviata di Apocalittici e integrati, dalla quale vengono eliminate quasi completamente le ultime due sezioni del libro, quella intitolata I suoni e le macchine (di cui rimane solo il breve saggio La canzone di consumo) e quella omonima all’intero volume, Apocalittici e integrati, che comprende testi più episodici che ampliano la panoramica dei riferimenti ad altri generi della cultura di massa. Fu Valentino Bompiani che decise di utilizzare per l’intero volume quello che nelle intenzioni dell’autore doveva essere solamente il titolo dell’ultima sezione (si veda Marco Belpoliti, Fortuna e storia di un titolo, in 50 anni dopo Apocalittici e integrati di Umberto Eco, p. 12-15: 12)   Umberto Eco, Apocalittici e integrati, 5. ed., Milano, Bompiani, 1985. Collocazione: 34. B. 8107   Umberto Eco, Apocalittici e integrati, 4. ed., Milano, Bompiani, stampa 1973. Collocazione: 35. A. 16788
immagine di Pietro Citati, La Pavone e Superman a braccetto di Kant
Pietro Citati, La Pavone e Superman a braccetto di Kant
Il libro di Eco suscita anche molte critiche. Marco Belpoliti (Fortuna e storia di un titolo, in 50 anni dopo Apocalittici e integrati di Umberto Eco, p. 12-15) ne cita alcune, affermando che anche queste, suscitando interesse, favorirono il successo del libro. In questo articolo pubblicato su «Il Giorno» del 14 ottobre 1964 (p. 5) Pietro Citati, pur con ironia, esprime il timore che i fumetti o le canzonette possano un giorno diventare oggetto di studio nelle aule universitarie e che gli intellettuali si cimentino nella realizzazione di questi sottoprodotti culturali. In buona parte il timore di Citati si è avverato. Quello stesso giorno il quotidiano su cui compare questo articolo pubblica un’ampia pagina di fumetti avventurosi e comici, nella tradizionale forma della striscia.   Pietro Citati, La Pavone e Superman a braccetto di Kant, «Il Giorno», 14 ottobre 1964. Collocazione: EX Granarolo. SALA 22
immagine di David Hume, La regola del gusto (1946)
David Hume, La regola del gusto (1946)
Faremo solo brevi accenni agli strumenti teorici che stanno alla base delle analisi di Eco, privilegiando invece i testi analizzati sulla scorta delle indicazioni tratte dalla teoria estetica e della produzione e ricezione degli oggetti culturali. Facciamo un’eccezione per citare il saggio di David Hume Of the Standard of Taste, su cui si basa il paragrafo Hume e l’indiano: introduzione alla ricerca empirica (p. 169-175), nel quale Eco stabilisce alcuni assunti che varranno per l’analisi dei diversi mass media che si accinge a studiare. Qualunque prodotto culturale ha una struttura oggettiva che va compresa e analizzata. Questa stessa struttura però permette (anzi, deve permettere) una «variabilità delle fruizioni» (p. 170) dell’opera stessa. Quindi la ricezione dell’opera varia da un ricevente all’altro. L’indiano di Hume è il rappresentante di una cultura altra, dissimile dalla nostra, che proprio in virtù di questa diversità fruisce e interpreta un’opera d’arte prodotta all’interno della nostra cultura in maniera differente da come la interpretiamo noi. Questo aspetto acquista maggiore rilievo quando il testo analizzato rientra all’interno del sistema della comunicazione di massa.   «Lo studioso di estetica che esercita la propria riflessione sui fenomeni della fruizione artistica, quali ce li ha proposti la tradizione occidentale sino a mezzo secolo fa, si trova in una situazione di ricerca in cui, sostanzialmente, l’autore dell’indagine e il soggetto di essa coincidono. [...] Che io [il ricercatore, n.d.r.] riconosca l’esistenza di un pubblico assai dissimile da me e dai miei simili conta scarsamente: poiché io so che l’opera è stata prodotta per un pubblico di miei simili [...] e che i miei dissimili, anche se in un modo o nell’altro consumeranno l’opera, ne coglieranno evidentemente gli aspetti accessori, la contempleranno in forma ridotta, la fruiranno solo a certi livelli. [...] Ma nell’orizzonte di una cultura di massa, ciò che viene messo in questione è proprio la validità di una fruizione esemplare [...] Si ha così che per un oggetto, analizzabile strutturalmente, si danno una varietà di reazioni possibili, il cui controllo sfugge all’indagatore [...] Nel campo delle comunicazioni di massa il ricercatore non può più coincidere con la cavia. Da un lato sta l’opera, dall’altro (per rifarci a Hume) una moltitudine di Indiani. Le reazioni di questi indiani non sono più ricostruibili dal ricercatore [...]. Gli “altri” sono molto di più e più differenziati, di quanto le sue possibilità di congenialità gli consentano di divenire. [...] Solo la ricerca empirica, sul campo, può illuminare il ricercatore sulle varie possibilità di reazione all’oggetto. [...] Ciò non rende affatto priva di validità una ricerca sulle strutture: la istituisce anzi come il primo indispensabile passo della ricerca. E ciò non impedisce che, nel corso di una ricerca sulle strutture, il ricercatore avanzi delle ipotesi sul tipo di fruizione che una data struttura potrà consentire a un tipo qualsiasi di fruitore. La nostra “lettura di Steve Canyon” si è mossa tutta in tal senso. Salvo che non costituisce il punto di arrivo di una ricerca sui mezzi di massa, ma al massimo un punto di partenza» (p. 171-175).   In questa lunga citazione si tocca una questione di metodo fondamentale non solo del libro, ma di un nuovo modo di affrontare lo studio dei mezzi di comunicazione di massa, che li qualifichi come oggetti di studio importanti e problematici, da indagare con adeguate basi teoriche. Che si tratti di fumetti, canzonette o programmi TV.   David Hume, La regola del gusto, a cura di Giulio Preti, Milano, Minuziano, 1946. Collocazione: ANCESCHI A. 70, 37
immagine di Almanacco Letterario Bompiani. La civiltà dell'immagine (1963)
Almanacco Letterario Bompiani. La civiltà dell'immagine (1963)
Stefano Traini in Le avventure intellettuali di Umberto Eco ricorda che la nascita di Apocalittici e integrati fu casuale, trattandosi di «saggi eterogenei, raccolti in volume per partecipare a un concorso per una cattedra universitaria sulle comunicaizoni di massa». Ma aggiunge che la genesi del libro «è casuale solo dal punto di vista personale [...] mentre dal punto di vista culturale l’interesse per i media all’interno della cultura di massa in quel periodo era palpabile». Stesso concetto affermato da Fausto Colombo in Il SuperEco. Umberto Eco, Supermann e i media studies, in 50 anni dopo Apocalittici e integrati di Umberto Eco, p. 45-51: 46. In questo interesse crescente rientra inevitabilmente un’attenzione più specifica verso l’uso delle immagini in questi prodotti culturali, come dimostra il numero del 1963 dell’«Almanacco Letterario Bompiani», più volte citato da Eco e intitolato proprio La civiltà dell’immagine. Ricordando che con Bompiani Eco collaborava in numerosi progetti editoriali, se si guarda l’indice di questo volume si nota che molti degli argomenti elencati coincidono con quelli presenti in Apocalittici e integrati. Eco sottolinea in più occasioni come in realtà le immagini siano state veicolo culturale fondamentale in moltissime società del passato e che quindi oggi abbiamo una civiltà dell’immagine come ce ne sono state altre, ognuna con caratteristiche proprie. L’aspetto più importante è cogliere l’essenza comune alla modalità di diffusione culturale tramite l’immagine:   «Ma il linguaggio dell’immagine è sempre stato lo strumento di società paternalistiche che sottraevano ai propri diretti [sic] il privilegio di un corpo a corpo lucido col significato comunicato, libero dalla presenza suggestiva di una “icone” concreta, comoda e persuasiva. E dietro ad ogni regìa del linguaggio per immagini c’è sempre stata una élite di strateghi della cultura educati sul simbolo scritto e sulla nozione astratta. Una civiltà democratica si salverà solo se farà del linguaggio dell’immagine una provocazione alla riflessione critica, non un invito all’ipnosi» (p. 347-348).   E ancora:   Ricordiamo che una educazione attraverso le immagini è stata tipica di ogni società assolutistica e paternalistica; dall’antico Egitto al Medioevo. L’immagine è il riassunto visibile e indiscutibile di una serie di conclusioni a cui si è giunti attraverso l’elaborazione culturale; e l’elaborazione culturale che si avvale della parola trasmessa per iscritto è appannaggio dell’élite dirigente, mentre l’immagine finale è costruita per la massa soggetta. In questo senso hanno ragione i manichei: c’è nella comunicazione per l’immagine qualcosa di radicalmente limitativo, di insuperabilmente reazionario. E tuttavia non si può rifiutare la ricchezza di impressioni e di scoperte che in tutta la storia della civiltà i discorsi per immagini hanno dato agli uomini. Una saggia politica culturale [...] sarà quella di educare, magari attraverso la TV, i cittadini del mondo futuro a saper contemperare la ricezione di immagini con una altrettanto ricca ricezione di informazioni “scritte” (p. 358).   Il linguaggio del fumetto, di cui Eco analizza le strutture fondamentali subito dopo la lettura della prima tavola pubblicata dello Steve Canyon di Milton Caniff, si fonda proprio sulla dialettica e il dialogo fra testo e immagine.   La civiltà dell’immagine, «Almanacco Letterario Bompiani», 1963. Collocazione: 19/330
immagine di Umberto Eco, La misteriosa fiamma della regina Loana
Umberto Eco, La misteriosa fiamma della regina Loana
Che la società dell’immagine degli anni Sessanta sia un punto di arrivo - non definitivo, ma momentaneo - di un’evoluzione nei mezzi di comunicazione protrattasi nei decenni precedenti, ce lo racconta lo stesso Eco nel romanzo del 2004 La misteriosa fiamma della regina Loana. Il protagonista - soprannominato Yambo, pseudonimo dello scrittore e illustratore Enrico Novelli - in seguito a un incidente perde la memoria autobiografica, cioè il ricordo degli eventi privati della sua vita. Mantiene però la memoria semantica, relativa alle letture e agli studi fatti fin da bambino. Proprio recuperando nella vecchia casa di famiglia i prodotti culturali della sua formazione infantile - libri illustrati e non, giornalini, fumetti, riviste - Yambo riesce a ricostruire anche la propria vicenda personale, che appare strettamente intrecciata a quelle letture, molte delle quali sono composte da una compresenza di immagini e parole. Per un riassunto del romanzo si veda il capitolo Soggettività e memoria: La misteriosa fiamma della regina Loana, in Stefano Traini, Le avventure intellettuali di Umberto Eco. Il titolo stesso del romanzo riprende quello di un fumetto di Lyman Young degli anni Trenta (sul quale diremo qualcosa di più nella prossima immagine), mentre il sottotitolo presente nella prima edizione, Romanzo illustrato, allude al fatto che la stessa opera di Eco è fruibile solo come unione inscindibile fra le parole e le numerose immagini che arricchiscono il testo e che riportano appunto copertine, frontespizi, pagine di quelle letture infantili (doverosamente elencate a fine volume). Con una scelta che appare poco comprensibile, questo sottotitolo viene eliminato in questa edizione del 2014. Alla ricerca delle fonti di questo romanzo all’interno della biblioteca personale di Eco Valentina Pisanty dedica il capitolo L’enciclopedia della memoria in L'idea della biblioteca. La collezione di libri antichi di Umberto Eco alla Biblioteca nazionale Braidense (p. 155-163).   Umberto Eco, La misteriosa fiamma della regina Loana, Milano, Bompiani, 2014. Collocazione: 20. G. 7161
immagine di Lyman Young, La pattuglia dell'avorio (1935)
Lyman Young, La pattuglia dell'avorio (1935)
In occasione dell’edizione 2023 di Bologna Children’s Book Fair, a seguito dell’acquisizione di molti libri provenienti dalla Biblioteca Circolante dei Cappuccini, la Biblioteca dell’Archiginnasio preparò una bibliografia che può avvicinarsi all’operazione del romanzo di Eco La misteriosa fiamma della Regina Loana. Scopo di quel lavoro, che potete leggere online e si intitola Cercare le figure. Libri illustrati per ragazze e ragazzi nella Biblioteca dell’Archiginnasio: 1900-1950, era infatti riscoprire i testi che avevano nutrito l’immaginazione di bambine e bambini nella prima metà del Novecento, con un’attenzione particolare alle decine di illustrazioni che li impreziosiscono. Oltre al fatto che la bibliografia propone diversi testi di Yambo, non mancano le sovrapposizioni fra le proposte del romanzo di Eco e quelle della bibliografia, come per esempio l’attenzione dedicata ai romanzi di Emilio Salgari e dei suoi continuatori, veri e propri «narratori parassiti», come li definisce Eco in Apocalittici e integrati (p. 234). Questo fumetto, pubblicato in Italia nel 1935, fa parte della serie delle avventure di Cino e Franco, che traducevano nella nostra lingua i nomi di Tim e Spud, protagonisti dei comics scritti e disegnati da Lyman Young (ma anche in questo caso moltissimi autori lavoravano anonimamente a queste pagine) col titolo originale Tim Tyler’s Luck. Una tipica serie avventurosa per ragazzi, in cui due orfani affrontano peripezie rocambolesche. A questa serie appartiene l’episodio La misteriosa fiamma della regina Loana.   Lyman Young, La pattuglia dell'avorio. Avventure di Cino e Franco, Firenze, Nerbini, 1935. Collocazione: NOCERA L. 504
immagine di Fascismo e fumetti
Fascismo e fumetti
Il protagonista di La misteriosa fiamma della regina Loana, come lo stesso Eco, nasce e trascorre l’infanzia quando la dittatura fascista è pienamente affermata e controlla la produzione editoriale, con particolare attenzione a quella destinata all’infanzia. Nel romanzo il tema viene toccato più volte, così come nella bibliografia Cercare le figure. Abbiamo rilevato in precedenza, grazie alle parole di Eco, che l’uso delle immagini in campo culturale è tipico di società assolutiste. Il fascismo non si sottrasse a questa regola e di particolare interesse è il rapporto contraddittorio che ebbe con il fumetto. Da una parte ne utilizzò le potenzialità di dialogo con la popolazione giovanile, come dimostra questa pagina a vignette del «Giornale dei Balilla» oppure la presenza del fumetto Gruzzolino buon balilla sulla rivista della Federazione delle Casse di Risparmio dell'Emilia «Il piccolo risparmiatore», che al binomio libro-moschetto aggiungeva un buon libretto di risparmio. Dall’altra i comics erano guardati con sospetto in quanto erano in gran parte provenienti dagli Stati Uniti.   «Giornale dei Balilla. Periodico ufficiale dei Gruppi Balilla», II, n. 53, 18 febbraio 1924. Collocazione: SORBELLI Caps. 16, Opusc. 55 Il fascicolo è integralmente consultabile online.
immagine di Fascismo e fumetti: il caso Topolino
Fascismo e fumetti: il caso Topolino
Nel Ventennio fascista, come d’altra parte successe un po’ in tutti i campi, non solo i nomi degli eroi dei comics vennero italianizzati per mascherare la provenienza dall’impero del male americano - e la trasformazione di Flash Gordon in Gordon Flasce è forse l’esempio meno riuscito di questa tendenza - ma nei giornalini di fumetti ai nomi degli autori originali vennero sostituiti più rassicuranti nomi italiani, di disegnatori reali o inventati per l’occasione. Il complesso rapporto fra il regime fascista e i racconti a vignette è raccontato in maniera precisa ed esaustiva nel volume Eccetto Topolino. Lo scontro culturale tra fascismo e fumetti di Fabio Gadducci, Leonardo Gori e Sergio Lama. Il titolo del volume allude al fatto che alla fine degli anni Trenta venna proibita la pubblicazione di qualunque fumetto proveniente da oltreoceano, con l’unica eccezione di quelli Disney e in particolare del topo più famoso del mondo. Leggenda vuole che la scelta fosse stata imposta dal Duce in persona per accontentare il figlio, amante di Topolino, ma in realtà le ragioni furono più complesse e legate soprattutto a questioni economiche. Negli anni successivi d’altra parte il blocco delle pubblicazioni riguardò anche i personaggi Disney. Topolino all’età della pietra (The Land of long ago), qui in una edizione del 1950, è una delle storie più conosciute della prima fase di vita del personaggio. Pubblicata a puntate fra 1940 e 1941 era stata sceneggiata da Marrill de Maris e disegnata da Floyd Gottfredson, uno dei più importanti disegnatori Disney.   Walt Disney, Topolino all'età della pietra, disegni di Floyd Gottfredson, sceneggiatura di Merrill De Maris, Milano, Periodici Mondadori, 1950. Collocazione: PALMAVERDE OPUSCOLI B. 1044
immagine di «La Tradotta. Giornale della 3° armata»
«La Tradotta. Giornale della 3° armata»
Abbiamo citato in precedenza l’importanza dell’uso delle immagini in società paternalistiche e assolutiste, per poi vedere il caso del regime fascista. Questa rivista, «La Tradotta. Giornale della 3° armata», dimostra come l’uso dei fumetti a fini propagandistici, proposti dall’alto a persone di cultura inferiore e che è necessario guidare e distrarre, fosse un esperimento che era già stato messo in atto con i cosiddetti “giornali di trincea”. Questa rivista nasce nel marzo 1918 ed è programmaticamente concepita come «una pubblicazione dai toni divertenti in grado di risollevare lo spirito delle truppe» (Pier Luigi Gaspa, Dal signor Bonaventura a Saturno contro la terra, p. 26).   «La Tradotta. Giornale della 3a armata», Milano, Mondadori, [1933?]. Riproduzione facsimilare dell'edizione originale: Reggio Emilia, Istituto veneto di arti grafiche, [poi] Milano, Bestetti e Tumminelli, 1918-1919 (n. 1-25). Collocazione: 10. DD. I. 08 Il fascicolo di cui vediamo la prima pagina è il n. 17 del 15 settembre 1918, integralmente consultabile online.
immagine di Carlo Della Corte, I fumetti (1961)
Carlo Della Corte, I fumetti (1961)
Quando all’inizio degli anni Sessanta Eco lo assume come oggetto di studio, il fumetto in Italia ha quindi già una storia pluridecennale. Esiste già anche un fumetto realizzato da autori italiani (si veda a riguardo: Pier Luigi Gaspa, Dal signor Bonaventura a Saturno contro la Terra. Agli albori del fumetto in Italia). In pochi però lo hanno inteso «come oggetto di studio “serio”» (Anna Maria Lorusso, Introduzione, in 50 anni dopo Apocalittici e integrati di Umberto Eco, p. 7-15: 8). Fra i pochi saggi dedicati a questo linguaggio spicca quello di Carlo Della Corte di cui qui vediamo la copertina, spesso citato da Eco. Il libro si apre con un capitolo intitolato I protofumetti (p. 5-24) che parte da quadri e altre illustrazioni dell’antichità che mescolavano disegni e parole - vedi l’uso del filatterio come antenato del balloon - e si conclude con quelli che sono fumetti a tutti gli effetti, da Yellow Kid ai suoi primi successori. Si avverte, come spesso accade ancora oggi, la volontà di dare a questo linguaggio una patente di nobiltà, facendolo discendere da esempi della cultura “alta”. Eco tratterà il tema degli “antenati” del fumetto in maniera ben diversa in Apocalittici e integrati, come vedremo più avanti. E toccherà l’argomento anche nell’articolo del 1982 Le tentazioni della scrittura, in cui descrive l’omonima mostra allestita alle Galéries Nationales du Grand Palais di Parigi:   «[Gli organizzatori della mostra] Fanno anche di più: ci hanno sempre detto che molti bassorilievi e pitture egizie erano veri e propri fumetti, ma c’era sempre il sospetto che queste fossero licenze interpretative inventate da Lancelot Hogben e dagli appassionati di Yellow Kid. Qui invece serissimi egittologi e curatori di museo hanno il coraggio di esibire il documento originale e di metterci accanto una ricostruzione disegnata coi fumetti veri e propri, con tanto di nuvoletta e i geroglifici tradotti in buon francese, con i barcaioli che si consultano e gli dei impegnati in educate conversazioni. Ed ecco che una civiltà sepolta diventa viva e divertente, anche per il visitatore di scarsa cultura archeologica». Umberto Eco, Le tentazioni della scrittura, in Id., Sugli specchi e altri saggi, p. 67-72: 68.   La prospettiva risulta completamente ribaltata: non sono i documenti antichi che danno nobiltà al fumetto, ma è il fumetto che rende più facilmente leggibili le testimonianze del passato anche per un pubblico non specialistico. È interessante leggere la bibliografia del lavoro di Della Corte. Insieme a un buon numero di testi provenienti dagli Stati Uniti, si rileva una quantità non indifferente di articoli italiani comparsi su quotidiani e altri periodici non specializzati. Non si tratta di testi di analisi del linguaggio fumettistico come quello di Eco, ma costituiscono un altro segnale che l’attenzione verso questi prodotti culturali stava crescendo anche nel nostro paese.   Carlo Della Corte, I fumetti, Milano, Mondadori, 1961. Collocazione: 4. q. III. 8
immagine di Partita a scacchi con il tempo. Speciale Umberto Eco - «Linus», LVIII, gennaio 2022, n. 680
Partita a scacchi con il tempo. Speciale Umberto Eco - «Linus», LVIII, gennaio 2022, n. 680
Prima di addentrarci nell’esplorazione delle pagine che Eco dedica al fumetto in Apocalittici e integrati ricordiamo il corposo dossier che nel 2022 la rivista «Linus» dedica al rapporto fra Umberto Eco e i fumetti. Il titolo è Partita a scacchi con il tempo e avevamo già avuto modo di parlarne nella gallery dedicata a Il nome della rosa. Questi sono i contributi presenti in quelle pagine: Il monastico Manara, intervista di Adriano Ercolani a Milo Manara sul rifacimento a fumetti di Il nome della rosa (p. 30-35). Marco Pellitteri, Umberto Eco & i fumetti, è forse il contributo più interessante del dossier: una rassegna di tutti gli interventi del professore in campo fumettistico (p. 36-43). Dello stesso autore si veda anche l’articolo La sua lunga danza intellettuale con il fumetto. La nona arte secondo Umberto Eco pubblicata su «Doppiozero» nel 2019. Sergio Algozzino, Umberto Eco e il fumetto, che in due tavole a vignette (p. 44-45) ripropone alcuni degli interventi citati da Pellitteri. Umberto Eco, Lettura di Steve Canyon (p. 46-52). Abbiamo già avuto modo di citare quello che è forse il brano più famoso di Apocalittici e integrati. In realtà quello proposto sulla rivista è il primo paragrafo del capitolo omonimo del libro, cioè Analisi del messaggio (nell’edizione originale p. 133-147). Eco realizza un «esame, inevitabilmente pedante e minuzioso» (p. 147) della prima tavola pubblicata da Milton Caniff del suo nuovo fumetto, Steve Canyon, che è chiamato a bissare il successo già ottenuto dall’autore con Terry and the Pirates. Si tratta forse dell’esempio più importante di come una pagina a fumetti possa e debba essere analizzata con tutti gli strumenti della critica testuale e della ricezione. Nel 1988 Enrico Fornaroli, nella sua monografia dedicata all’autore americano (Milton Caniff. Un filmico pennello tra il nero e il merletto), segue il modello di Eco ampliandone la scala. Propone infatti una dettagliata analisi di un intero episodio di Steve Canyon (p. 57-66) per illustrare le dinamiche della serialità in campo fumettistico. Che Caniff si muova in un campo condizionato dalle strutture commerciali lo si capisce anche da queste presentazioni dei suoi personaggi principali, chiaramente intese ad accattivarsi da subito l’attenzione dei lettori. Daniele Barbieri, Il professore che leggeva i fumetti (p. 54-56), un’analisi del metodo critico di Eco applicato alle tavole a vignette. Massimo Giacon, Il piccolo Umberto (p. 58-59), due tavole a fumetti. Lorenzo Miglioli, Un genio con dentro un idiota mi disse l’Eco (p. 60-62), in cui l’autore racconta alcuni aneddoti del suo rapporto con il professore. Danilo Maramotti, Il pendolo di Belfagor (p. 63).    «Linus», LVIII, gennaio 2022, n. 680. Collocazione: 17* BB. 1099 (2022)
immagine di La nascita di «Linus»
La nascita di «Linus»
Eco tenne a battesimo la rivista «Linus» che, l’anno successivo alla pubblicazione di Apocalittici e integrati, inaugurò un nuovo modo di fare e proporre fumetti, non solo in Italia. Le prime due pagine del primo numero (aprile 1965) sono infatti occupate da un’intervista del professore a Oreste Del Buono, che nel 1971 subentrerà a Giovanni Gandini alla direzione della rivista, e Elio Vittorini, che già negli anni Quaranta su «Il Politecnico» aveva proposto fumetti americani, inimicandosi anche la dirigenza del P.C.I. (si veda Annalisa Stancanelli, Vittorini e i balloons. I fumetti del «Politecnico»). L’intervista, facilmente reperibile online, si occupa, come dice Eco in apertura, di «una cosa che riteniamo molto importante e seria, anche se apparentemente frivola: i fumetti di Charlie Brown». Questo libro di Paola Maria Farina racconta la vicenda editoriale di «Linus» fino al 2013, anno di pubblicazione del libro, preceduta da una breve storia del fumetto in Italia e negli Stati Uniti nel periodo che precede la nascita della rivista. Oggi «Linus» è diretto dal fumettista Igort ed è stato acquisito dalla casa editrice La nave di Teseo, fondata dallo stesso Eco.   Paola Maria Farina, La rivista «Linus». Un caso editoriale lungo quasi mezzo secolo, Muros, Documenta, 2013. Collocazione: 20. P. 1939
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Biblia pauperum
Eco in Apocalittici e integrati non va alla ricerca di antenati illustri del fumetto per dare una patina di nobiltà a questo tipo di linguaggio, ma scandaglia il passato alla ricerca di altri momenti storici in cui l’intreccio grafico fra parole e immagini ha assunto particolare importanza. Gli esempi rintracciati sono studiati con particolare riferimento al contesto sociale e economico (in senso ampio) in cui si inserivano. Oltre alle stampe popolari e alle gazzette, un caso interessante è quello della Biblia pauperum, di cui Eco si occupa nella Prefazione al suo libro:   «Evidentemente un maestro miniatore medievale, che confezionava le immagini del suo libro d’ore per il committente, era ancorato a un rapporto artigianale: ogni immagine, se da un lato rimandava a un codice di credenze e convinzioni, dall’altro si rivolgeva al committente singolo, e instaurava con lui un rapporto preciso. Ma non appena qualcuno inventa la possibilità di stampare xilograficamente pagine di una bibbia riproducibile in più esemplari, succede un fatto nuovo. Una bibbia che si riproduce in più copie costa meno e può andare a più persone. Una bibbia che viene venduta a più persone non sarà una bibbia minore? E allora la si chiamerà biblia pauperum. D’altra parte il fattore esterno (diffusibilità e prezzo) influisce anche sulla natura del prodotto: il disegno si adatterà alla comprensione di una udienza più vasta, meno letterata. Non sarà più utile collegare il disegno al testo con un gioco di cartigli svolazzanti che ricorda da vicino il fumetto? La biblia pauperum incomincia a sottoporsi a una condizione che qualcuno, secoli dopo, attribuirà ai moderni mezzi di massa: l’adeguazione del gusto, e del linguaggio, alle capacità ricettive della media» (p. 9).   Nell’immagine a fianco (qui visibile a una migliore risoluzione) e in quella successiva mostriamo due tavole tratte dall’edizione facsimilare dell’esemplare della Biblia Pauperum posseduto dalla Biblioteca Estense di Modena, realizzato nei Paesi Bassi intorno al 1470.   Biblia Pauperum, a cura di Santino Corsi, Rimini, Guaraldi, 1995. Collocazione: 20. B. 86
immagine di Biblia pauperum
Biblia pauperum
Un’altra tavola (qui visibile a una migliore risoluzione) tratta dalla Biblia Pauperum. Nella sua Introduzione al volume (p. 7-10) Pier Giorgio Pasini, dopo avere affermato che «Nel Medio Evo il cartiglio semi-arrotolato (il filatterio) [...] era l’equivalente della nuvoletta dei nostri “fumetti”» (p. 8) analizza la struttura delle illustrazioni, che si ripete uguale in tutte le tavole (si trattava di fogli sciolti che solo successivamente vennero riuniti in un volume). Pasini mostra che la composizione grafica e il legame fra il testo e le immagini sono accuratamente studiati per comunicare specifici messaggi a uno specifico lettore-osservatore che si supponeva fosse il fruitore del lavoro. Pasini specifica inoltre che la dicitura biblia pauperum non deve trarre in inganno e fare pensare che fosse destinata genericamente a un pubblico povero. I destinatari erano una categoria più specifica: «si potrà pensare che essa sia stata realizzata come prodotto economico indirizzato forse ai sacerdoti “poveri”, responsabili di spoglie pievi rurali, che grazie ad essa venivano agevolati nella predicazione e soprattutto nell’insegnamento delle Scritture» (p. 9).   Biblia Pauperum, a cura di Santino Corsi, Rimini, Guaraldi, 1995. Collocazione: 20. B. 86
immagine di Rodolphe Töpffer, Le storie del signor Jabot e del signor Crépin (1968)
Rodolphe Töpffer, Le storie del signor Jabot e del signor Crépin (1968)
Al di là degli esempi più antichi citati in precedenza, lo svizzero Rodolphe Töpffer nella prima metà del XIX secolo gettò senza dubbio il seme della nascita di un linguaggio nuovo, in cui immagini e testo scritto dialogavano in maniera tale che non li si sarebbe potuti separare. Vediamo qui la vignetta iniziale della Histoire de Monsieur Jabot, riproposta (insieme alla Histoire de Monsieur Crépin) in un’edizione del 1968 pubblicata all’interno di una collana significativamente intitolata Filatterio.   «Basta conoscere questi due personaggi per capire che il fumetto, inteso come racconto per immagini, è tutto qui; come in queste due opere e in tutte le successive avventure create da Töpffer, che non furono molte ma bastarono a farlo diventare il primo fumettista della storia dei comics, colui che ne definì i parametri e la struttura [...]». Nedeljko Bajalika, Rodolphe Töpffer. Le storie del Signor Jabot e del Signor Crépin, «Lo spazio bianco», 16 settembre 2021. In questo articolo è possibile vedere anche esempi delle vignette di Töpffer.   Rodolphe Töpffer, Le storie del signor Jabot e del signor Crépin, Roma, Lerici, 1968. Collocazione: 34. D. 933
immagine di Wilhelm Busch, Max et Moritz facinora puerilia (1933)
Wilhelm Busch, Max et Moritz facinora puerilia (1933)
L’unico altro titolo della collana Filatterio è Max e Moritz e altre storie di Wilhelm Busch, del quale mostriamo a solo titolo esemplificativo dell’aspetto grafico due tavole tratte da un’edizione tedesca datata 1933, in cui il testo è tradotto in latino. È probabile che lo scopo fosse proprio quello di insegnare la lingua attraverso un’opera familiare al pubblico giovane, giovandosi dell’ausilio delle immagini.   Max et Moritz. Facinora puerilia septem dolis fraudibusque peracta, ex inventione Guilielmi Busch, in sermonem Latinum conversa a versificatore sereno (G. Merten), Monachii, apud Braun & Schneider, 1933. Collocazione: BIANCHI B. 713  
immagine di Sociologia del fumetto americano (1966)
Sociologia del fumetto americano (1966)
L’orizzonte a cui Eco guarda nello studio dei comics è senza dubbio quello statunitense, tanto che alcune riflessioni sulla diffusione e sull’influenza dei fumetti sembrano tagliate su quella realtà e riferite come uno scenario che potrebbe verificarsi anche in Italia, ma solamente negli anni successivi. Il volume che qui vediamo viene più volte citato da Eco nell’edizione originale inglese, che porta il significativo titolo The Funnies. An american idiom e viene pubblicata nel 1963, appena un anno prima di Apocalittici e integrati. A testimonianza dell’importanza che questa raccolta di saggi ebbe per Eco sta il fatto che la traduzione italiana venne edita due anni dopo il libro del professore dalla stessa casa editrice con cui lui non solo pubblicava ma collaborava regolarmente, Bompiani. Ne proponiamo alcune pagine: l’introduzione, la bibliografia italiana sui fumetti americani, l’indice e, soprattutto, l’articolo di Martin Jezer A che servono i Peanuts (p. 201-213, titolo originale Quo Peanuts?), nel quale si trovano alcuni dei temi (e anche alcune situazioni molto specifiche, si veda ad esempio l’episodio di Linus che colpisce una mosca con la sua coperta) che Eco tratterà nelle sue pagine dedicate ai personaggi di Schulz.    Sociologia del fumetto americano, a cura di David Manning White e Robert H. Abel, Milano, Bompiani, 1966. Collocazione: 6. bb. III. 53
immagine di Jules Feiffer, The unexpurgated memoirs of Bernard Mergendeiler (1965)
Jules Feiffer, The unexpurgated memoirs of Bernard Mergendeiler (1965)
L’analisi dei mezzi di comunicazione di massa che Eco compie in Apocalittici e integrati è volta anche a creare una sorta di gerarchia fra prodotti che ripropongono schemi fissi e mandano un messaggio conservatore (quando non reazionario) e consolatorio (Superman) e prodotti che invece hanno maggiore valore artistico e il cui messaggio è meno pacificante e più complesso (i Peanuts). Fra questi ultimi ci sono anche i lavori di Jules Feiffer, che sia Eco che Jezer citano nelle pagine dedicate al mondo dei bambini creato da Charles Schulz. Lo studioso americano propone più specificamente una stretta analogia fra Charlie Brown e il protagonista dell’opera che qui vediamo, Bernard Mergendeiler:   «Un evidente compatriota di Charlie Brown, è il Bernard di Jules Feiffer. Anche Bernard è, come ovvio, un perdente; anch’egli è incapace di venirne a capo col nemico che, in questo caso, ha nome Società. L’analogia è resa vieppiù evidente dall’aver Feiffer fatto ricorso, per raffigurare la tendenza al fallimento di Bernard, a buon numero delle stesse situazioni di cui s’è servito Schulz per raffigurare l’identica tendenza in Charlie Brown». Martin Jezer, A che servono i Peanuts, in Sociologia del fumetto americano, p. 201-213: 205.   Anche in questo caso la traduzione italiana del volume che qui vediamo (contenente anche altre opere di Feiffer) uscirà per Bompiani col titolo Il trapianto del trauma. Vita privata di Bernard Mergendeiler pochi anni dopo Apocalittici, nel 1968. Traduzione a cura, naturalmente, di Umberto Eco (e Cathy Berberian).   Jules Feiffer, The unexpurgated memoirs of Bernard Mergendeiler, Londra, Collins, 1965. Collocazione: 34. C. 5981
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Harold Gray, Little Orphan Annie
All’opposto di Feiffer - e a fianco del Li’l Abner di Al Capp, come esempio di fumetto conservatore e paternalista, assoggettato alle logiche del mercato - Eco posiziona Little Orphan Annie di Harold Gray: «ma il giudizio su Harold Gray e la sua opera è possibile senza equivoci: a disegno conservatore, di precisione ottocentesca, fa riscontro ideologia conservatrice» (p. 177). E all’inizio del saggio sui Peanuts rincara la dose:   «Il fumetto è un prodotto industriale, commissionato dall’alto, funziona secondo tutte le meccaniche della persuasione occulta, suppone nel fruitore un atteggiamento di evasione che stimola immediatamente le velleità paternalistiche dei committenti. E gli autori per lo più si adeguano: così il fumetto, nella maggior parte dei casi, riflette l’implicita pedagogia di un sistema e funziona come rafforzatore dei miti e dei valori vigenti. Così Dennis the Menace [...]; e la Little Orphan Annie diventerà per milioni di lettori la supporter di un maccartismo nazionalistico» (p. 265).   Se Dennis the Menace e Li’l Abner sono citati anche da Jezer nel suo articolo sui Peanuts più volte ricordato, l’orfana Annie e il suo autore sono invece soggetti di due articoli di Sociologia del fumetto americano (se ne veda l’indice), collocati nella sezione denominata Fumetti sotto accusa. Nell’introduzione al volume di cui qui vediamo la copertina - non datato ma risalente all’inizio degli anni Settanta del Novecento - Luciano Secchi rileva che, pur popolarissima sulle pagine dei quotidiani statunitensi, la strip di Gray è praticamente sconosciuta a livello popolare. Un’ulteriore conferma del fatto che Eco in Apocalittici e integrati sta descrivendo la situazione del mercato statunitense, non italiano. Come a mettere le mani avanti su possibili scenari che potrebbero realizzarsi anche nel nostro paese, in cui comparivano strips sui quotidiani ma con una frequenza e una diffusione nemmeno paragonabile al mercato americano.   Harold Gray, Little orphan Annie (1935-1936), Milano, Corno, s.d. Collocazione: 35. C. 1175  
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I moschettieri di Dumas
La famosa lettura della prima tavola di Steve Canyon «e le considerazioni generali che ne derivano» portano Eco a «riflettere su una visione estetico-letteraria più ampia del prodotto culturale» (Gianfranco Marrone, Charlie Brown, piccolino di massa. Appunti per una ricerca, in 50 anni dopo Apocalittici e integrati di Umberto Eco, p. 58-69: 60). Si apre così il lungo capitolo I personaggi (p. 187-263) che porterà all’analisi del mito di Superman. Ma del supereroe per antonomasia vanno prima ricostruite le origini nel romanzo popolare. In queste pagine Eco stabilisce la distinzione - che vale non solo per i personaggi ma anche per situazioni ed episodi narrativi - fra tipo e topos. Ne offre una sintesi, che contiene già i riferimenti alle pagine di Apocalittici e integrati (nel testo AI), lo stesso Gianfranco Marrone:   Da cui appunto la distinzione fra il tipo (modello che si propone al lettore grazie a tutta l’opera che gli fa da base materiale ed estetica) e il topos [...] ossia il già detto che viene ripreso in modo pedissequo senza integrarlo in modo sensato ed efficace all’interno della nuova opera in cui appare. Se il tipo è un individuale che si fa universale, grazie alla tenuta complessiva del sistema-opera rispetto a un lettore che lo riattiva, il topos è un accoglimento di luoghi già noti senza una loro rimessa in sistema, di modo che il lettore non si riconosce nell’opera come universo totale e complesso, ma in alcuni suoi frammenti, che sono dunque frammenti di frammenti (AI, p. 210). [...] Il tipo è arte, il topos è gioco (AI, p. 213). Il topos è conservatore, il tipo è progressista (AI, p. 217). Gianfranco Marrone, Charlie Brown, piccolino di massa. Appunti per una ricerca cit., p. 61.   Il topos è D’Artagnan in I tre moschettieri (e seguiti) di Alexandre Dumas, il tipo è Julien Sorel in Il rosso e il nero di Stendhal. Senza la pretesa di una reale analisi iconografica, alcune immagini che illustrano i romanzi sembrano esemplificare la differenza fra queste opere come espressa sopra. Si vedano copertine e frontespizi (le immagini interne continuano lo stile di quelle paratestuali) dei tre romanzi dumasiani del ciclo dei moschettieri in queste traduzioni pubblicate da Sonzogno negli anni Venti del Novecento. Le illustrazioni sono realistiche e di facile lettura, presentano elementi immediatamente riconoscibili, che permettono di identificare personaggi e situazioni, di creare un confortevole clima avventuroso. Eco in Il superuomo di massa (nel capitolo “I Beati Paoli” e l’ideologia del romanzo “popolare”) dice che furono proprio queste traduzioni di Sonzogno a rilanciare in Italia il feuilleton della prima metà del XIX secolo e a riprendere un’iconografia di questi personaggi ancora pienamente ottocentesca. Anche l’iconografia dei moschettieri dunque sembra adeguarsi alla narrazione riproponendo schemi e situazioni ben conosciute, che non apportano novità e non mettono in discussione una conoscenza diffusa e ormai assimilata dal pubblico medio.   Alexandre Dumas, I tre moschettieri. Romanzo, Milano, Sonzogno, 1927. Collocazione: SACCENTI Gd. 700   Alexandre Dumas, Venti anni dopo. (Seguito dei Tre moschettieri), Milano, Sonzogno, 1927. Collocazione: SACCENTI Gd. 701   Alexandre Dumas, Il visconte di Bragelonne. Romanzo, seguito dei Tre moschettieri e dei Venti anni dopo, Milano, Sonzogno, 1928. Collocazione: SACCENTI Gd. 702 L’esemplare è mutilo della copertina, che quindi non compare nelle immagini a cui rimanda il link presente nel testo.
immagine di I tre moschettieri a fumetti
I tre moschettieri a fumetti
Una delle molte trasposizioni a fumetti de I tre moschettieri mostra come nella sostanza ben poco sia cambiato nella rappresentazione dei personaggi rispetto a 50 anni prima (ma, come detto, si potrebbe andare ancora più indietro, alle illustrazioni ottocentesche).   I tre moschettieri. Da Alexandre Dumas, sceneggiatura Giorgio Sciaccaluga, disegni Ermes Gusmaroli, Bergamo-Roma, Minerva italica, 1977. Collocazione: 35. RE. 392
immagine di Stendhal, Le rouge et le noir (1949)
Stendhal, Le rouge et le noir (1949)
«Julien Sorel muore, e muore madame de Renal, ma con l’ultima parola del libro non si queta la nostra domanda: quali prospettive per affermare la propria energia senza miti e senza scopi ha una generazione sorta dopo il crollo del mondo napoleonico?» Umberto Eco, Il superuomo di massa. Retorica e ideologia nel romanzo popolare, p. 10   Julien Sorel è tipo e non topos e Il rosso e il nero non è un romanzo pacificatore e consolatorio. Eco in Apocalittici ne parla in particolare alle p. 210-214, proprio nel paragrafo Tipo e topos e, come già visto, in contrapposizione a D’Artagnan e al ciclo dei moschettieri. Continuando la breve rassegna di illustrazioni che corredano i romanzi, si vede che in questa edizione francese di metà Novecento le immagini sono completamente diverse da quelle che appena 20 anni prima comparivano nei romanzi di Dumas. Spesso inoltre (le ultime due negli esempi proposti) non si riferiscono a eventi o personaggi del romanzo, ma alla vita reale dell’autore.   Stendhal, Le rouge et le noir, Audin, Les Grands Maitres, 1949. Collocazione: NOCERA C. 1450  
immagine di Stendhal, Il rosso e il nero (1963)
Stendhal, Il rosso e il nero (1963)
Questa edizione del romanzo di Stendhal esce per il quotidiano «L’Unità» un anno prima di Apocalittici e integrati. Le tavole che la illustrano sono davvero molto distanti dall’illustrazione “ottocentesca” dumasiana vista in precedenza.   Stendhal, Il rosso e il nero, [S. l.], L'Unita, 1963. Collocazione: 35. C. 1027  
immagine di Superman. La prima tavola
Superman. La prima tavola
Ed eccoci finalmente giunti a Superman, protagonista di una delle analisi più attente e dettagliate nel libro di Eco. Superman è il supereroe per antonomasia, esempio di un processo di mitizzazione delle immagini che avviene a causa di strutture narrative ben precise, che a loro volta sono implicate necessariamente dal tipo di personaggio creato da Jerry Siegel e Joe Shuster. La prima tavola pubblicata dell’alieno kryptoniano (qui visibile a una migliore risoluzione) nel giugno 1938 (questa è la copertina del primo albo) è sorprendente per un lettore di fumetti di supereroi di oggi perché nel giro di poche vignette si risolve l’intera storia dell’origine dell’eroe. Prima ancora della fine della tavola il personaggio compare in quella che poi sarà la sua caratterizzazione grafica per i successivi 90 anni e con le qualità sia fisiche - forza, velocità - che morali - il mettersi «al servizio dell’umanità» di cui lui nemmeno fa parte - che saranno la sua identità mitica identificabile da generazioni di lettori. La narrazione è pronta per partire e la prima storia stabilirà poi un modello che, come dice Eco, si ripeterà costantemente e secondo uno schema iterativo che non porta mai a nessuna mutazione né del personaggio né della società che gli sta intorno. In questo primo episodio si verificano già le dinamiche che anche i non lettori di Superman conoscono, a partire dal rapporto con Lois Lane, innamorata del supereroe e caustica fino al cinismo con Clark Kent. Quindi fin da questa prima storia dobbiamo accettare che nessuno riconosca il timido giornalista nel superuomo (o viceversa) nonostante niente li differenzi se non la presenza o meno degli occhiali. Sembra una banalità e invece è un esempio di come il personaggio sia profondamente impregnato della cultura del romanzo popolare nato nell’Ottocento francese. Le agnizioni infatti - Eco ne parla a lungo in Il superuomo di massa nel capitolo L’agnizione: appunti per una tipologia del riconoscimento (p. 19-26) - sono uno dei cliché narrativi di questo tipo di letteratura, uno dei dati che informano e ritmano la struttura narrativa. L’agnizione può verificarsi con diversi gradi di consapevolezza da parte dei personaggi e del lettore, che spesso proprio in quanto lettore - e quindi conoscitore dei meccanismi narrativi - intuisce benissimo le identità segrete (o le relazioni di parentela, o altri segreti) dei personaggi ben prima dei personaggi stessi. La reiterata e inspiegabile (per il lettore) assenza di riconoscimento di Clark-Superman - che avverrebbe in quella «forma particolare di agnizione monodirezionale» che è lo smascheramento (Umberto Eco, Il superuomo di massa, p. 19) - è quindi un dato strutturale fondamentale della narrazione nei fumetti di Superman, che dobbiamo accettare nella sua irrazionalità. Nei fumetti di supereroi la questione della doppia identità ha un’importanza tale che in alcune delle saghe più importanti e famose - si veda ad esempio Civil War per quanto riguarda gli eroi della Marvel - sarà proprio la decisione di rivelare o meno la propria identità nascosta a portare a vere e proprie guerre fra personaggi che fino all’episodio precedente combattevano fianco a fianco contro il male. Quella che quindi sembra semplice ingenuità nella costruzione narrativa - e che forse inizialmente lo è - diventa, grazie alla sua ripetizione ininterrotta, dato fondamentale per capire come funziona la narrazione dei supereroi nella chiave mitica che Eco riscontra nel personaggio di Superman. Una ripetizione così continuata e forzata che nel momento in cui viene interrotta - quando per esempio Lois riconosce Clark in Superman e viceversa - l’episodio diventerà una svolta narrativa tale da creare un vero e proprio evento (sfruttabile anche in senso commerciale). Senza però - e qui sta uno dei punti fondamentali del discorso di Eco - che questo cambi la struttura di fondo della storia e le caratteristiche del personaggio: anche dopo l’agnizione compiuta da Lois, il matrimonio fra lei e Clark, la nascita di loro figlio Jonathan e altri eventi a questi collegati, Superman continuerà a salvare il mondo. Mai in maniera definitiva, naturalmente. Le immagini che qui vediamo sono tratte da un’edizione moderna che ripropone i primi albi del personaggio (qui vediamo la sovracoperta del volume). Anche questo è un dato interessante. Le origini dei supereroi vengono continuamente riproposte, sia nella loro forma originale, sia in numerose narrazioni che ricostruiscono quegli eventi in maniera più o meno dettagliata o modificata. Reboot, vengono chiamate queste rinnovate narrazioni dell’origine dei supereroi, e testimoniano la necessità di ripetizione - anzi, di variazione nella ripetizione - che è sottesa sia alla struttura narrativa del genere supereroistico che al sistema commerciale in cui il prodotto è inserito, che periodicamente deve ri-raccontare come è nato un personaggio a nuovi lettori più giovani, adeguando la narrazione al mutato gusto e alla mutata società in cui i fumetti vengono pubblicati. Quindi in realtà quella che potrebbe sembrare una novità è una negazione del cambiamento: quando il personaggio non “regge” più, quando la storia è arrivata a un punto tale in cui la ripetizione non è più il piacevole ritorno del conosciuto, ma una stanca riproposizione di cose già viste, allora invece di intraprendere una strada radicalmente nuova, è più semplice (e sicuro) ripartire dall’inizio, azzerare tutto e trovare una maniera (più o meno) originale di raccontare la stessa storia (e dobbiamo ripeterlo: creare un evento di forte impatto economico). Quando l’operazione riesce si conquistano nuovi lettori più giovani, che possono assicurare vendite negli anni a venire. Quando le cose vanno male il rischio è di perdere anche i lettori affezionati. Quando questo accade - ed è accaduto - si fa una doppia capriola e la novità viene abbandonata senza troppi rimpianti per tornare al sentiero già battuto. Soluzioni che sembrano insensate ma che negli ultimi decenni si sono registrate in più occasioni e che in realtà non fanno altro che portano all’estremo i meccanismi di complicazione dell’ordine temporale che già Eco metteva in luce in Apocalittici e integrati (p. 239-244) e che portano al paradosso temporale di creare l’illusione di un eterno presente. Ma a proposito di questo, si passi all’immagine successiva).   Jerry Siegel, Joe Shuster, Superman. Golden age, 2 v., Modena Panini Comics, 2021-2022. Collocazione: ARPE-MO C. 2994 / 1-2
immagine di La morte e il ritorno di Superman (2020)
La morte e il ritorno di Superman (2020)
Eco intitola uno dei paragrafi dedicati a Superman Intreccio senza consumo (p. 239-244). Le storie vivono «nell’illusione di un continuo presente» (p. 244) e il personaggio - come i personaggi del mito - non si consuma mai, ma a ogni episodio riparte dallo stesso punto in cui lui e il suo mondo si trovavano all’inizio dell’episodio precedente. Questo, più che la sua invulnerabilità, presuppone il fatto che Superman non possa morire. Invece nel 1992 Superman muore, ucciso dal supernemico Doomsday. La quarta di copertina del volume che nel 2020 ripropone quegli episodi esalta «L’epico evento che ha sconvolto il mondo e cambiato Superman per sempre» e lo celebra come una delle storie fondamentali per il fumetto moderno. Ma ha senso dire che la morte di Superman lo ha cambiato per sempre? Come può cambiare se è morto? La risposta sta nel titolo di questo volume di 1370 pagine che raccoglie un anno e mezzo di episodi usciti su diverse testate: dopo la morte c’è stato il ritorno. Per quasi un anno e mezzo il mondo DC Comics è andato avanti senza Superman: uno sforzo creativo e logistico incredibile e stupefacente, che ha comportato la “sincronizzazione” delle storie raccontate in tutte le diverse testate pubblicate. Ma alla fine il supereroe per antonomasia deve tornare, altrimenti quel mondo crollerebbe. Perché aveva ragione Eco: Superman non può consumarsi e morire. Anche nella morte Superman in realtà non si è consumato. Muore infatti “giovane”, per quanto abbia senso parlare con i nostri criteri temporali di un alieno. Non è invecchiato. Muore in battaglia in maniera improvvisa. Si veda la differenza con un’altra storia DC, Il ritorno del Cavaliere oscuro di Frank Miller, in cui un Bruce Wayne non anziano ma invecchiato e “pensionato” decide di tornare a vestire i panni di Batman. Quella storia cambia veramente il mondo del fumetto. La morte di Superman è un evento indelebile che non modifica niente di sostanziale. Quando Superman torna non è «cambiato per sempre» come strilla la quarta di copertina. È sempre lui, il solito salvatore del mondo che però, come dice Eco, non decide mai di fare quello che potrebbe realizzare senza alcuno sforzo: prendere veramente il potere e imporre i suoi superiori valori morali. Non lo fa perché la sua storia così finirebbe, pur senza essere morto.   Superman. La morte e il ritorno di Superman, Modena, Panini Comics, 2020. Collocazione: ARPE-MO C. 2610
immagine di La morte e il ritorno di Superman (2020)
La morte e il ritorno di Superman (2020)
L’immagine che qui vediamo è molto simile alla copertina del volume La morte e il ritorno di Superman vista prima. Anche questa è una copertina, ma di un documento non reale: il numero del periodico «Newstime» che nel modo finzionale annuncia la morte del supereroe. Dunque questa è l’immagine che - sia all’interno del mondo narrativo in cui i personaggi vivono, che nella realtà in cui quel fumetto viene messo in commercio - identifica e mitizza la morte dell’eroe, più ancora che le tavole in cui è mostrato il corpo senza vita di Superman. Il suo mantello diventa bandiera. Interessante che, all’interno del fumetto, i due eventi di maggiore impatto - la morte e il ritorno appunto - siano amplificati dal loro racconto di secondo livello all’interno di periodici (si veda anche l’immagine successiva). La narrazione è pienamente immersa all’interno di un sistema di comunicazione di massa che alimenta e ingigantisce, nella realtà come nel mondo finzionale, la notizia eccezionale, l’evento sconvolgente. Tutti meccanismi che ritroviamo discussi, smontati, analizzati, ad ogni pagina di Apocalittici e integrati.   Superman. La morte e il ritorno di Superman, Modena, Panini Comics, 2020. Collocazione: ARPE-MO C. 2610
immagine di La morte e il ritorno di Superman (2020)
La morte e il ritorno di Superman (2020)
Al suo ritorno in vita Superman stringe la mano a Bill Clinton, allora presidente USA. Eco dice che l’eroe «ignora praticamente, non dico la dimensione “mondo”, ma la dimensione “Stati Uniti”» (p. 260). E nella nota a fondo pagina aggiunge che solo in un imaginary tale diventa Presidente degli Stati Uniti. Nel fumetto di supereroi quindi - che il caso di Superman porta all’estremo delle sue caratteristiche - si ignora una dimensione politica. Le cose cambieranno in seguito, ma non dobbiamo dimenticare che già nel 1941 la nascita di Capitan America era avvenuta in un chiaro clima antinazista, tanto che nella copertina del primo numero della testata a lui dedicata Cap prendeva a pugni Hitler (chiamato, all’interno di questo primo episodio, Hiller). E quella storia iniziale (che si può leggere nel volume Io sono Capitan America. 80 anni) raccontava di un’infiltrazione di nazisti in territorio americano, naturalmente sventata dal supersoldato.   Superman. La morte e il ritorno di Superman, Modena, Panini Comics, 2020. Collocazione: ARPE-MO C. 2610
immagine di La morte di Superman. Speciale 30° anniversario (2023)
La morte di Superman. Speciale 30° anniversario (2023)
In precedenza abbiamo ricordato le continue “ripartenze” delle storie dei supereroi, che prevedono di norma una nuova narrazione delle loro origini. Lo stesso può avvenire con la morte di uno di essi. Nel 2022, per celebrare il trentennale della morte di Superman, viene pubblicato questo volume che contiene quattro storie. La prima è un sequel che si colloca temporalmente qualche anno dopo l’epica e (quasi) fatale battaglia con Doomsday che, non lo abbiamo ancora detto, era anch’esso morto in quello scontro. In questo sequel sembra che anche questo “supercattivo” sia tornato, ma è una sua versione “in sedicesimo”, che spaventa più per i ricordi che suscita che per la reale capacità distruttiva. Ma l’epilogo lo lasciamo al piacere della lettura. Le altre tre storie sono tre narrazioni della morte di Superman - quella raccontata 30 anni prima - vista da punti di vista di diversi personaggi. Anche la morte quindi diventa evento ripetuto, spremuto verrebbe da dire - sia sul piano narrativo che su quello commerciale - e quindi, inevitabilmente, sempre più svuotato di senso e di eccezionalità. Finisce quindi per rientrare in quel ritrmo ripetitivo e medio che è la vera dimensione della narrazione di supereroi. Oggi, soprattutto con l’espansione dell’universo cinematografico supereroistico, siamo abituati a vedere morire i supereroi. Ciò non toglie che non ci si possa costruire sopra un evento. Non tanto per la sorpresa che potrebbe riservare una morte inaspettata, ma per l’attesa che suscita una morte annunciata. A breve, è stato da poco comunicato, toccherà a Silver Surfer abbandonare (temporaneamente?) l’Universo Marvel.    La morte di Superman. Speciale 30° anniversario, Modena, Panini Comics, 2023. Collocazione: ARPE-MO C. 4473
immagine di Martian Manhunter. Identità (2020)
Martian Manhunter. Identità (2020)
Al momento della pubblicazione di Apocalittici e integrati il campo dei supereroi era ben più sguarnito di quello che abbiamo conosciuto nei decenni successivi e alcuni personaggi già conosciuti negli Stati Uniti dovevano ancora approdare sulla penisola. Ma succede anche che Eco nomini supereroi oggi, se non dimenticati, di secondo piano. A p. 256 per esempio il lettore moderno incontra un supereroe con un curioso nome: «Segugio di Marte (il cui vero nome è J’onn J’onzz)». Ci vuole poco a scoprire che si sta parlando di quello che negli anni successivi è stato pubblicato anche in Italia col suo nome originale: Martian Manhunter. Solo i più appassionati potranno dire di avere capito di chi si sta parlando, perché anche dopo avere ripreso il suo nome originale questo alieno che si nasconde nel corpo di un poliziotto rimane personaggio di scarsa diffusione popolare. Anche lui però ha goduto del suo immancabile reboot, quando è stato pubblicato il volume che vediamo che racconta con taglio moderno - nella storia e nei disegni - le origini di J’onn. Di cui non sveleremo altro.   Martian Manhunter. Identità, storia Steve Orlando, disegni Riley Rossmo, Modena, Panini Comics, 2020. Collocazione: ARPE-MO C. 2842
immagine di Martian Manhunter. Segreti americani (2024)
Martian Manhunter. Segreti americani (2024)
Ancora un volume di Martian Manhunter, una storia pienamente in tema con questa rassegna documentaria. Questa miniserie di tre episodi uscita fra 1992 e 1993 racconta infatti la società americana di fine anni Cinquanta, quella che è protagonista dell’analisi che Eco fa dei media di massa (si veda anche Il modello americano, intervento tenuto dal professore all’omonimo convegno del 1983 pubblicato in Umberto Eco, Gian Paolo Ceserani, Beniamino Placido, La riscoperta dell’America, p. 1-32). J’onn J’onzz deve combattere un popolo di uomini-lucertola che, come i rettiliani protagonisti di tante fantasie di complotto, si sono infiltrati fra gli umani e vogliono arrivare a prendere il potere utilizzando funghi allucinogeni e, soprattutto, inviando messaggi subliminali proprio attraverso i prodotti della cultura di massa: TV, musica rock e riviste di fumetti horror di quart’ordine. Dubitiamo che all’inizio degli anni Novanta Eco leggesse ancora quello che nei Sessanta si chiamava il Segugio di Marte, ma sicuramente avrebbe trovato in questa storia molti elementi di interesse.   Martian Manhunter. Segreti americani, storia Gerard Jones, disegni Eduardo Barreto, Modena, Panini comics, 2024. Collocazione: ARPE-MO C. 5050
immagine di I fumetti di «Paese sera»
I fumetti di «Paese sera»
La prima pubblicazione in volume dei Peanuts in Italia è Arriva Charlie Brown del 1963 (ripubblicato diverse volte, l’ultima delle quali nel 2002) che era aperto dall’introduzione di Eco che poi diventerà, leggermente abbreviato e modificato nel titolo, il saggio Il mondo dei Peanuts in Apocalittici e integrati. I personaggi di Schulz però comparivano già regolarmente in forma di striscia quotidiana su «Paese Sera» dal 1961 (si veda: Alberto Brambilla, Quando Charlie Brown si chiamava Pierino: la prima volta dei Peanuts in Italia, «Fumettologica», 2 ottobre 2020). Questo quotidiano, fin dai primi anni Cinquanta (era stato fondato nel 1949) pubblicava strips quotidiane di diversi personaggi provenienti dagli Stati Uniti. Comparivano però anche creazioni italiane come Il Gatto Filippo che vediamo nella striscia centrale, opera di Pino Zac. Per lungo tempo le vignette furono collocate in fondo a una delle pagine, del giornale ma in seguito conquistarono un’intera pagina. Questa viene descritta in un articolo di Berto Del Bianco (Gente che va e gente che viene nei “fumetti” di Paese Sera, «Paese Sera», 26 ottobre 1960, p. 3) come fosse un condominio abitato dai diversi personaggi, che abbandonano il loro appartamento prima che le loro «vecchie risapute avventure» stanchino il pubblico, lasciando il posto a nuovi inquilini o ex abitanti dello stabile che ritornano per un rilancio della loro storia. Si avverte l’affetto e la familiarità del pubblico con questi protagonisti ed è significativo che il quotidiano senta la necessità di spiegare al pubblico le scelte fatte - nel caso dell’articolo di Del Bianco l’eliminazione delle strisce di Flash Gordon dopo una lunga presenza continuativa - quando per altri giornali i “fumetti” (da notare che nel titolo dell’articolo citato la parola è messa fra virgolette) erano semplici riempitivi o un modo per attirare il pubblico più distratto.   «Paese Sera», 10-15 novembre 1954. Collocazione: G. 150 G.S.
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I fumetti di «Paese sera»
Topolino è ormai un personaggio così riconoscibile e affidabile da potere diventare testimonial pubblicitario. La pubblicità d’altra parte, come si vede in questa del dentrificio Durban’s, fin dagli anni Cinquanta assume proprio una forma grafica di interazione fra immagine e testo che ricorda i fumetti, in particolare nella versione senza balloon che nella prima metà del Novecento era tipicamente italiana.   «Paese Sera», 14 dicembre 1954. Collocazione: G. 150 G.S.
immagine di Elena Massi, Era una notte buia e tempestosa (2021)
Elena Massi, Era una notte buia e tempestosa (2021)
I Peanuts sono stati più letti che analizzati in maniera sistematica dalla critica italiana. Fra i lavori più completi segnaliamo - anche perché nato in ambito bolognese - quello di cui vediamo qui la copertina, in cui Elena Massi analizza l’intera produzione di strips cogliendone sia i riferimenti alle opere letterarie (da Salinger a Twain, per esempio) sia alla società americana in cui il fumetto prende vita, con particolare attenzione alla categoria dei “bambini di guerra”, alla quale appartengono Charlie Brown e i suoi amici. A Bologna nel 2000, in occasione del cinquantenario dei Peanuts, si tenne l’importante mostra Linus ama Bologna. Nel 2021 è uscito anche I Peanuts. Charlie Brown, Snoopy e il senso della vita, a cura di Andrew Blauner, che oltre a riproporre in parte il saggio di Eco tratto da Apocalittici e integrati, raccoglie gli interventi che molti studiosi e fumettisti - alcuni di questi contributi sono fumetti - hanno dedicato negli anni al mondo creato da Charles Schulz.   Elena Massi, Era una notte buia e tempestosa. Società, valori e cultura nei Peanuts, Viterbo, Alter Ego Edizioni, 2021. Collocazione: 20. G. 6990
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Peanuts. Strisce giornaliere
Oggi siamo invece al 75° anniversario dalla nascita dei Peanuts - la prima strip uscì sui quotidiani americani il 2 ottobre 1950 - e Panini ha iniziato la ristampa in fomato da collezione della collana The complete Peanuts, pubblicata originariamente in 26 volumi fra il 2005 e il 2017. Dal quinto volume di quella collana sono tratte le due tavole che vediamo qui e nell’immagine successiva e che illustrano le due diverse modalità di pubblicazione dei Peanuts e della gran parte dei fumetti di quel periodo. Nei giorni feriali uscivano strips di quattro vignette, mentre la tavola domenicale aveva uno sviluppo più ampio. Eco in Apocalittici e integrati (p. 160-163) analizza questi (e altri) condizionamenti dovuti alla distribuzione commerciale dei comics e l’influenza che ebbero nella definizione del linguaggio del fumetto. La conclusione di quelle pagine è che «la finalità commerciale e il sistema di distribuzione del prodotto “fumetto”» sicuramente ne determinarono la natura, ma «anche in questo caso, come sempre nella pratica dell’arte, l’autore di genio è colui che sa risolvere i condizionamenti in possibilità» (p. 163). Non c’è dubbio che quando scrive «autore di genio» Eco sta pensando (anche) a Charles Schulz.   Strisce giornaliere, 1-3 gennaio 1959. Charles M. Schulz, The complete Peanuts. Vol. 5: Dal 1959 al 1960. Strisce giornaliere e domenicali, Modena, Panini comics, 2007. Collocazione: ARPE-MO A. 23 / 5
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Peanuts. Strisce domenicali
Striscia domenicale, 4 gennaio 1959. Charles M. Schulz, The complete Peanuts. Vol. 5: Dal 1959 al 1960. Strisce giornaliere e domenicali, Modena, Panini comics, 2007. Collocazione: ARPE-MO A. 23 / 5
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Charile Brown e le bambine
In questa immagine e in quella successiva vediamo le prime due tavole proposte nel volumetto Fun with Peanuts, che contiene strips degli anni 1955-1957 proposte con un diverso montaggio delle vignette. Vi si ritrovano due dei tratti caratteristici rilevati da Eco nei rapporti fra i mostri-bambini di Schulz.   «Il mondo dei Peanuts è un microcosmo, una piccola commedia umana per tutte le borse. Al centro sta Charlie Brown: ingenuo testone, sempre inabile e quindi votato all’insuccesso. Bisognoso sino alla nevrosi di successo e “popolarità”, e ripagato, dalle bambine matriarcali e saccenti che lo attorniano, col disprezzo, le allusioni alla sua testa rotonda, le accuse di stupidità, le piccole malvagità che colpiscono a fondo. [...] la società è pronta a respingerlo nella persona di Lucy, matriarcale, perfida, sicura di sé, imprenditrice a profitto sicuro, pronta a smerciare una sicumera del tutto fasulla ma di sicuro effetto [...]» (p. 271).   Charles M. Schulz, Fun with Peanuts. Selected cartoons from Good ol' Charlie Brown (volume 1), New York, Fawcett Crest, 1966. Collocazione: CAGLI E. 642
immagine di Linus e la sua coperta
Linus e la sua coperta
«Linus, il più piccolo, è invece già carico di tutte le nevrosi, l’instabilità emotiva sarebbe la sua condizione perpetua, se con la nevrosi la civiltà in cui vive non gli avesse già offerto anche i rimedi [...]. Dito in bocca e coperta (il blanket) appoggiata a una gota (possibilmente televisore acceso [...]) Linus ritrova il suo “sentimento di sicurezza”. Toglietegli il blanket e ripiomberà in tutte le turbe emotive che lo guatano giorno e notte» (p. 272).   Sembra che in Apocalittici e integrati si stiano descrivendo le tavole di questo volumetto. Ma chi conosce i Peanuts sa quanto queste situazioni si ripetono in numerosissime tavole e che proprio nella gestione di questa ripetitività, come specifica lo stesso Eco nell’intervista che inaugura il primo numero di «Linus», sta non solo il segreto del successo, ma anche e soprattutto il valore poetico e artistico dell’opera di Schulz.   Charles M. Schulz, Fun with Peanuts. Selected cartoons from Good ol' Charlie Brown (volume 1), New York, Fawcett Crest, 1966. Collocazione: CAGLI E. 642
immagine di Charles M. Schulz, Il dizionario di Charlie Brown (1975)
Charles M. Schulz, Il dizionario di Charlie Brown (1975)
Un inequivocabile sintomo del fatto che un prodotto culturale è ormai un fenomeno di successo tale da trascendere se stesso si ha quando lo si comincia a utilizzare in altri contesti (vi abbiamo già accennato notando la presenza di Topolino in una pubblicità). Succede naturalmente anche ai Peanuts, che in questo volume diventano veicolo per insegnare l’inglese a bambini e ragazzi.   Cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione. Charles M. Schulz, Il dizionario di Charlie Brown. Per imparare facilmente l'inglese. 2500 voci, 5000 frasi con la pronuncia e la traduzione. Dal Rainbow dictionary, di Wendel W. Wright, Milano, Rizzoli, 1975. Collocazione: 35. RD. 1847
immagine di Hugo Pratt, Corto Maltese. La ballata del mare salato (1991)
Hugo Pratt, Corto Maltese. La ballata del mare salato (1991)
In Apocalittici e integrati Eco non cita fumetti di autori italiani. Negli anni successivi invece si occuperà anche di loro, a partire da Hugo Pratt. Una ballata del mare salato segna l’esordio di Corto Maltese e nonostante venga pubblicato a puntate fra il 1967 e il 1969 (su «Sgt. Kirk», rivista di fumetti nata proprio nel 1967 sulla scia del successo di «Linus») è chiaramente un’opera pensata secondo il respiro più ampio di una narrazione romanzesca (ma in quegli anni ancora nessuno parlava ancora di graphic novel). Questa edizione del capolavoro di Pratt ha come prefazione un testo dal titolo Geografia imperfetta di Corto Maltese in cui Eco ricorda che l’uscita della Ballata costituì «il modello di un nuovo modo di far letteratura attraverso il fumetto». La mostra Geografie immaginarie, dedicata a Hugo Pratt e di imminente apertura, riecheggia il titolo della prefazione di Eco.   Hugo Pratt, La ballata del mare salato, prefazione di Umberto Eco, Milano, Rizzoli, 1991. Collocazione: 35. C. 1215
immagine di Hugo Pratt, Corto Maltese. La ballata del mare salato (1991)
Hugo Pratt, Corto Maltese. La ballata del mare salato (1991)
L’edizione della Ballata vista in precedenza, dopo la prefazione di Eco, contiene alcune tavole in cui le vignette di Pratt sono messe a confronto con illustrazioni tratte da libri dedicati a personaggi e luoghi presenti nel fumetto, a mostrare lo scrupolo documentaristico - ma non pedissequamente imitativo - del fumettista.   Cliccare qui per vedere la tavola a una migliore risoluzione. Hugo Pratt, La ballata del mare salato, prefazione di Umberto Eco, Milano, Rizzoli, 1991. Collocazione: 35. C. 1215
immagine di Hugo Pratt, Corto Maltese. La ballata del mare salato (1991)
Hugo Pratt, Corto Maltese. La ballata del mare salato (1991)
Cliccare qui per vedere la tavola a una migliore risoluzione. Hugo Pratt, La ballata del mare salato, prefazione di Umberto Eco, Milano, Rizzoli, 1991. Collocazione: 35. C. 1215
immagine di Tiziano Sclavi, Dellamorte Dellamore (1991)
Tiziano Sclavi, Dellamorte Dellamore (1991)
Un altro importante intervento di Eco sul fumetto italiano lo si ha con l’intervista del 1998 a Tiziano Sclavi, creatore di Dylan Dog. Questo dialogo viene pubblicato nel volume Dylan Dog. Indocili sentimenti, arcane paure, a cura di Alberto Orsini (verrà poi riedito nel 2023 insieme ad altri saggi aggiuntivi) e oggi può essere letto online. Il professore e il fumettista toccano molti dei temi che abbiamo affrontato in questa gallery e vi viene fatto anche esplicito riferimento a Apocalittici. Dylan Dog rimanda anche a un modello di serialità narrativa - albi autoconclusivi ma inseriti in una continuity di più ampio respiro - ben diversa da quella delle strips quotidiane. Inoltre lo stesso formato degli albi - il cosiddetto “formato Bonelli”, presente praticamente solo in Italia - pone questioni importanti relativamente ai rapporti fra la storia, la sua realizzazione in un oggetto concreto e la commercializzazione di quello stesso oggetto. Poiché Sclavi chiude l’intervista affermando che in caso di «catastrofe atomica» vorrebbe che della sua opera si salvasse, più che i fumetti, un romanzo, proponiamo qui la copertina, chiaramente ispirata al personaggio Dylan Dog, di Dellamorte Dellamore, che viene pubblicato nel 1991 dopo essere rimasto nel cassetto di Sclavi per otto anni. Pubblicazione avvenuta solo perché, come dice la quarta di copertina, il personaggio di Francesco Dellamorte era stato il seme da cui era maturato Dylan, «uno dei più grandi successi fumettistici di tutti i tempi».  Il cerchio della trasposizione transmediale si era poi ampliato nel 1994 quando dal romanzo era stato tratto l’omonimo film (regia di Michele Soavi), il cui protagonista era Rupert Everett, al quale a sua volta si era ispirato Sclavi al momento di dare un volto al suo personaggio. Infine, dal fumetto nel 2010 è stato tratto un film, intitolato nella versione originale Dylan Dog. Dead of Night, per la regia di Kevin Munroe e con Brandon Routh nei panni del protagonista. In italia questo lavoro è uscito col titolo banalizzato Dylan Dog. Il film, tipico esempio di informazione ridondante ma forse utile ad attrarre l’attenzione del pubblico distratto, al quale non si dà evidentemente troppo credito. Nel 2019 la Bonelli ha anche annunciato una serie TV tratta da Dylan Dog, della quale non si trova però traccia,  Un bell’esempio di come i mass media siano vasi comunicanti e di come il sistema di mercato in cui sono immersi orchestri sempre una pluralità di possibilità di fruizione del prodottto culturale.   Tiziano Sclavi, Dellamorte Dellamore, Milano, Camunia, 1991. Collocazione: 35. B. 16865
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Bologna dei fumetti
«Oggi ovviamente siamo molto lontani sia dal ’64 sia dal ’77. Ma, per fortuna, siamo forse più vicini al primo che non al secondo, pressoché rimosso dalla storiografia ufficiale delle arti e della cultura sociale, della politica e dell’economia. Il ’77 inaugura un oscuro periodo di tutt’altri “né né”, dove tristi figuri con P38 e passamontagna combattono le stragi di regime usando, al modo di ogni terrorismo, i media come cassa di risonanza. Era il peggior modo possibile di manipolare l’idea echiana della guerriglia semiologica, ovvero l’esito naturale di Apocalittici e integrati. Laddove, secondo Eco, per bypassare il doppio ricatto degli apocalittici e degli integrati occorreva conoscere le strategie dei media per poterne stravolgere tatticamente i significati (Il costume di casa), la fine degli anni settanta dà la stura, da un lato, alla lotta armata (Sette anni di desiderio) e, dall’altro, all’istituzionalizzazione beffarda della guerriglia semiologica di Ricci e soci (Dalla periferia dell’impero). Gli esiti sono storia arcinota (A passo di gambero)». Gianfranco Marrone, Uno splendido cinquantenne, in 50 anni dopo Apocalittici e integrati di Umberto Eco, p. 16-19: 18.   Il giudizio ci sembra riduttivo. Il movimento del Settantasette e quello che ne conseguì negli anni successivi hanno portato qualcosa di più di quanto lapidariamente liquidato nella frase citata, proprio nel campo del fumetto e proveniendo in buona parte da quello che era territorio echiano, il DAMS. La Bologna di quegli anni ha infatti visto la nascita di opere e autori che hanno segnato - e ancora oggi segnano - il mondo dell’arte nel senso più ampio e della nona arte in particolare. Non è necessario fare nomi e titoli perché possiamo offrire come base di partenza Bologna dei fumetti, una ricca banca dati realizzata e costantemente aggiornata dalla Biblioteca Salaborsa di Bologna. Vale la pena navigarla per cogliere spunti di lettura e ricostruire la storia, anche editoriale, del fumetto in città. Bologna dei fumetti è una sezione del più ampio progetto bologna.online.
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Valvoline story (2014)
Per concludere il nostro percorso sul fumetto e la breve escursione bolognese, aggiungiamo l’approfondimento che la Biblioteca Salaborsa ha dedicato al gruppo di Valvoline Motorcomics, la cui storia è ricostruita anche nel volume Valvoline Story del quale vediamo qui la copertina.   Valvoline story, Brolli, Carpinteri, Igort, Jori, Kramsky, Mattotti ; special guests: Burns, Mattioli, Bologna [etc.], Coconino Press, 2014. Collocazione: 20. X. 1542
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Il fotoromanzo
Eco non si occupa in maniera specifica del fotoromanzo, però lo propone come esempio di linguaggio simile al fumetto per la compresenza di immagini e testo scritto. In particolare cita il volume La presse féminine di Evelyne Sullerot per ricordare un’interessante indagine compiuta fra le lettrici di fotoromanzi per comprendere i meccanismi di lettura che si stabiliscono nel passaggio fra un’immagine e l’altra e che quindi possono essere applicati anche al linguaggio del fumetto. Evelyne Sullerot firma anche un contributo dal titolo Il fotoromanzo, mercato latino comune dell’immagine nel già ricordato «Almanacco Letterario Bompiani» del 1963. L’immagine che qui vediamo è tratta da una delle riviste specializzate in fotoromanzi, «Cine illustrato». Se si sfoglia l’intero fascicolo si nota che c’erano differenze nella dialettica testo-immagini fra i diversi fotoromanzi proposti. Il caso più frequente è quello che qui vediamo, con balloons e didascalie, ma in altri casi il discorso diretto dei balloons non era presente e la storia era raccontata solamente dalle didascalie. Per un’analisi e una storia del fotoromanzo, invenzione italiana capace di conquistare i mercati di mezzo mondo, si veda Il fotoromanzo di Anna Bravo.   «Cine illustrato. Settimanale di cinema e fotoromanzi», VII, n. 51, 23 dicembre 1951. Collocazione: BORSI F. 614 (1951)
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Le canzoni della cattiva coscienza (1964)
La sezione di Apocalittici e integrati dedicata alla canzone prende le mosse dal libro di cui vediamo la copertina e che propone un tipo di composizione musicale che si pone in opposizione a quelle “canzonette” che sono l’oggetto di studio principale delle pagine successive. Il libro diventa lo spunto per raccontare l’esperienza dei Cantacronache che fra gli anni Cinquanta e Sessanta «agirono come catalizzatore, o costituirono un fenomeno massiccio che, unendosi agli altri, diede corpo a quella che si accingeva a diventare corrente, non più “caso” ma consuetudine, pratica musicale. Il fatto è che oggi, a distanza di sette o otto anni, possiamo riconoscere nel nostro paese un filone attivo di autori: musicisti e cantanti che fanno le canzoni in modo diverso dagli altri» (p. 282). Eco partecipò al progetto dei Cantacronache come paroliere, insieme ad altri intellettuali come Calvino e Fortini (si veda: Jacopo Tomatis, L’etica di una canzone diversa. I suggerimenti non colti di Umberto Eco sulla canzone, «GDM. Giornale della musica», 20 febbraio 2016).   Michele L. Straniero [et al.], Le canzoni della cattiva coscienza, Milano, V. Bompiani, 1964. Collocazione: CONT. 385 032
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Il canzoniere delle Lame
Fra le esperienze che si ispirarono ai Cantacronache e al lavoro di Michele L. Straniero e Sergio Liberovici ci fu Il Canzoniere delle Lame a Bologna, la cui storia viene raccontata da una delle fondatrici del gruppo, Janna Carioli, nel libro da cui sono tratte queste foto. Nel 2006 l’Archivio storico del Canzoniere delle Lame è stato donato alla Biblioteca Lame, che nel frattempo è stata intitolata a Cesare Malservisi, che fu anima di quel progetto insieme alla moglie Francesca Ciampi. Dopo un prezioso lavoro di catalogazione e inventariazione, il materiale dell’Archivio - che comprende libri, periodici, vinili, audio e video cassette - è ora consultabile da studiosi, ricercatori o semplici appassionati e curiosi. La storia del Canzoniere delle Lame è raccontata anche nel documentario Gli anni che cantano, realizzato nel 2020 per la regia di Filippo Vendemmiati.   Janna Carioli, Gli anni che cantano. Il Canzoniere delle Lame di Bologna, Udine, Nota, [2012]. Collocazione: 17* AA. 2663   Al volume è allegato un compact disc: Canzoniere delle Lame, Gli anni che cantano, Udine, Nota Music, 2012, 1 compact disc (75 min 44 s) Collocazione: CD-ROM. S. 43
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Sala ascolto vinili in Salaborsa
La parte più interessante del discorso relativo alla musica in Apocalittici e integrati è quello che si sviluppa nel capitolo La musica e la macchina (p. 297-309):   «La conclusione è dunque (e vale anche per la “musica fatta a macchina”) che ogni forma d’arte si esercita su una “materia fisica” mettendo in opera una tecnica; che la complessità di questa tecnica non incide su quei fattori “umani” che presiedono all’esercizio dell’arte, ma li obbliga a manifestarsi semplicemente in modi diversi; che, infine, come la resistenza della pietra suggerisce allo scultore la forma da inventare, così le resistenze offerte da qualsiasi mezzo tecnico non uccidono l’immaginazione dell’artista, ma anzi la provocano e la stimolano secondo nuove direzioni» (p. 298).   Oltre che la produzione di musica, le nuove tecniche hanno «posto nuovi e inediti problemi circa la conservazione del prodotto musicale» (p. 306). Un tema che le biblioteche si sono trovate ad affrontare più volte negli ultimi decenni, stante la velocità con cui i supporti per l’ascolto e la conservazione della musica sono cambiati, o addirittura temporaneamente scomparsi e poi tornati al centro del gusto del pubblico. Il caso più recente ed eclatante è la riscoperta del vinile. Dopo avere citato un caso particolare come l’Archivio storico del Canzoniere delle Lame alla Biblioteca Lame - Cesare Malservisi, segnaliamo anche una recentissima iniziativa realizzata dalla Biblioteca Sala borsa, dove il 25 febbraio 2025 è stata inaugurata una sala attrezzata per l’ascolto di vinili. L’iniziativa è stata possibile grazie alla donazione della collezione di vinili della famiglia Santonastaso. Anche l’edizione nazionale del Tg1 delle 13.30 di 6 marzo 2025 ha dedicato un servizio alla sala d’ascolto per i vinili di Salaborsa.    
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Rita Pavone, mito adolescenziale
A sfogliare l’inchiesta sulla canzone popolare giovanile pubblicata da Roberto Leydi su «L’Europeo» nel gennaio 1964 - quindi appena qualche mese prima di Apocalittici e integrati, a testimonianza di come Eco convogli nel libro testi e riflessioni di recentissimo interesse - si capisce perché il professore punti la sua attenzione su Rita Pavone, la cui foto campeggiava sul settimanale a fianco del titolo. È ben conosciuta l’analisi fatta da Eco della trasposizione in italiano della canzone If I had a hammer, che subisce una neutralizzazione che da canzone di protesta sociopolitica la rende ritmo banalizzato su cui cantare le sofferenze di un amore adolescenziale, proprio per ottundere e banalizzare le menti degli adolescenti stessi. Se si pensa che pochi anni dopo quegli stessi adolescenti saranno protagonisti di proteste sociali decisive, potremmo dire che l’operazione è in gran parte fallita, ma il punto non è questo. Andando oltre i singoli giudizi sulle singole opere della cultura di massa, la questione cruciale di Apocalittici e integrati che viene ribadita anche da questa sezione musicale è sempre la stessa: non bisogna né demonizzare né esaltare la canzone popolare italiana destinata ai giovani, ma bisogna mettere in gioco «una analisi sempre più approfondita dei comportamenti di fruizione del prodotto artistico di consumo [che] non potrà che chiarirci l’ambito entro il quale ci muoviamo» (p. 296).   Roberto Leydi, Perché gli urlatori, «L’Europeo. Settimanale di attualità», 12 gennaio 1964. Collocazione: A. 2232
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Federico Doglio, Televisione e spettacolo (1961)
La cosa più banale che dobbiamo ricordare leggendo oggi la sezione di Apocalittici e integrati dedicata alla TV è che nel 1964 il servizio televisivo in Italia esisteva da meno di 10 anni. Era quindi un campo di studi pressoché inesplorato nel nostro paese, anche se negli Stati Uniti si erano già compiute analisi importanti. Siamo comunque agli albori di una rivoluzione di cui solo oggi possiamo misurare la portata, inimmaginabile 60 anni fa, soprattutto nelle nuove forme di fruizione della TV diffusesi nell’ultimo decennio. Gia 10 anni fa Eco affermava che «quelle lunghissime parti sulla televisione» erano «le parti più sorpassate, dove parlavo della tv di allora, a un solo canale, in cui il venerdì sera si dava Pirandello, i grandi romanzi sceneggiati, tipo Promessi sposi o Balzac» (Umberto Eco, Giusto qualche aneddoto, in 50 anni dopo Apocalittici e integrati di Umberto Eco, p. 135-137: 137). Eco, dopo avere messo in luce la novità delle ripresa diretta che - come altre novità tecniche - impone di ripensare al rapporto fra creatori e fruitori di immagini in movimento, cita questo libro di Federico Doglio, «un eccellente manuale per chi voglia inoltrarsi nella spinosa selva delle ricognizioni tecnico-stilistiche e delle definizioni critico-estetiche. Il libro di Doglio è l’opera di uno studioso che vede la TV dall’interno (come responsabile di una branca dei programmi), e come tale va letto [...]» (p. 330). Eco non lo dice, ma anche il suo sguardo sulla TV è, almeno parzialmente, uno sguardo «dall’interno», dal momento che sul finire degli anni Cinquanta aveva lavorato ai programmi culturali della RAI.   Federico Doglio, Televisione e spettacolo, Roma, Studium, [1961]. Collocazione: 20. F. 3244
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Gilbert Cohen-Séat, Problèmes du cinéma et de l'information visuelle (1961)
Le ricerche sperimentali di Gilbert Cohen-Séat sulla ricezione delle immagini in TV e nel cinema e sulle tecniche visive che possono influenzare questa ricezione sono considerate molto importanti da Eco, che analizza a lungo queste tematiche. Anche Cohen-Sèat compare fra gli autori presenti nell’Almanacco Letterario Bompiani del 1963 con un articolo che ha lo stesso titolo dell’intero almanacco, Civiltà dell’immagine.   Gilbert Cohen-Séat, Problèmes du cinéma et de l'information visuelle, Parigi, Presses Universitaires de France, 1961. Collocazione: 9. HH. III. 24
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Codici di (auto)censura
Del volume Qui, Studio One Eco rileva l’interesse delle dichiarazioni di Rod Serling - creatore della serie TV The Twilight Zone (Ai confini della realtà) - e il fatto che contenga il «codice di autocensura della TV americana [...] un monumento di prudenza, una cautela minuta degna di un casuista della controriforma: attenendosi a quel codice a rigore, qualsiasi trasmissione potrebbe apparire offensiva per qualche categoria di cittadini o per l’infanzia. Eppure non si può non consentire con ciascuno dei suoi articoli, presi uno per uno» (p. 346). Dopo 60 anni, il tema dell’autoregolamentazione (o autocensura, come dice Eco) nei mezzi di comunicazione di massa è ancora di grandissima attualità. Anche il mondo del fumetto americano nel 1954 si diede un Comics Code Authority, non imposto per legge ma al quale gli editori potevano decidere o meno di attenersi. L’iniziativa nasceva dal grido d’allarme lanciato dal libro Seduction of the Innocent dello psichiatra Fredric Wertham, che denunciava l’influenza nociva che i comics potevano avere sui lettori più giovani. Uno dei tanti strumenti di controllo e repressione, l’ennesima caccia alle streghe messa in atto dalla società dei benpensanti che occupavano i centri del potere americano. Nel numero 2 di «alterlinus» del dicembre 2023, è stata pubblicata la storia a fumetti The Death of Comics di Ethan Van Sciver, in cui si racconta la parabola di un disegnatore di fumetti splatter la cui carriera - e di conseguenza la sua vita privata - va a rotoli proprio a causa delle regole di autocensura adottate da gran parte degli editori di comics statunitensi negli anni Cinquanta.   Qui, Studio One, Milano, Cinema Nuovo, 1960. Collocazione: PALMAVERDE CINEMA 287
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Cesare Mannucci, Lo spettatore senza libertà (1962)
«E qui non possiamo che richiamare la “Premessa” dell’ottimo libro di Cesare Mannucci Lo spettatore senza libertà (Bari, Laterza, 1962) in cui l’autore si scaglia contro coloro che facilmente esplodono in deprecazioni vociferanti contro la bêtise del cosiddetto uomo-massa: insistendo invece sul fatto che l’unico vero compito dell’intellettuale è oggi quello di comprendere e modificare la situazione dei nuovi mezzi, per non arroccarsi, a dispetto delle proprie intenzioni, su posizioni reazionarie» (p. 352).   Cesare Mannucci, Lo spettatore senza libertà. Radio-televisione e comunicazione di massa, Bari, Laterza, 1962. Collocazione: 3. h. III. 76
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Frederick Pohl, Le navi di Pavlov
Le ultime pagine di Apocalittici e integrati sono dedicate a misurare gli strumenti di analisi messi a punto in quelle precedenti su diversi generi paraletterari. Nel capitolo Sulla fantascienza Eco, sulla base di una funzione allegorico-educativa propria di questo genere, separa il grano dal loglio, come dice in altre parti del volume, collocando su poli opposti alcuni grandi successi di pubblico. Dalla parte negativa vengono posizionati i racconti di Robert A. Heinlein, fra i quali Fanteria nello spazio, in cui Eco riscontra «una sensibile tara nazista» e Sesta colonna, nel quale «il tema della situazione “post conflitto nucleare” si colora di intransigenza razzistica». Al polo positivo «troviamo in cambio Le navi di Pavlov di Frederik Pohl, dove il tema del rapporto tra bianchi e gialli si risolve nella scoperta di una più profonda identità umana» (p. 374). La differenza di valore fra queste opere non impedisce che entrambe possano diventare «due insuperati modelli del genere» (e quindi bestsellers), come certifica la quarta di copertina dell’edizione qui presentata - che fa parte appunto della collana Classici Urania - del romanzo di Pohl. Quest’ultimo viene citato anche da Michele Mari nel capitolo Le copertine di Urania in Tu, sanguinosa infanzia (p. 28). Le pagine di Mari ci ricordano anche che i romanzi che uscivano nella collana Urania (come in molte altre collane da edicola dedicate alla paraletteratura) erano accompagnati da un apparato di testi aggiuntivi. Non solo racconti brevi, ma anche fumetti (l’autore cita B.C. e Il mago Wiz), vignette comiche e pubblicità di vari prodotti, fra cui, soprendentemente, libri completamente estranei alla cultura di massa, promossi con «locandine oggi difficilmente immaginabili anche sui periodici più dotti» (p. 29). La paraletteratura quindi, che riusciva a raggiungere un pubblico ampio e non specialistico, poteva diventare veicolo di diffusione per pubblicazioni destinate a un segmento più limitato di lettori. Questo testimonia anche che questi lettori di cultura più specializzata erano fra il pubblico potenziale della letteratura di genere.   Frederik Pohl, Le navi di Pavlov, Milano, A. Mondadori, 1979. Collocazione: 35. A. 22213
immagine di Antonio Costantini, Claudio Montalbano, Il rianimatore (2018)
Antonio Costantini, Claudio Montalbano, Il rianimatore (2018)
L’ultimo capitolo di Apocalittici e integrati si intitola Il nostro mostro quotidiano (p. 381-387) e si occupa di letteratura e cinematografia dell’orrore, le cui origini affondano nel gothic novel ma che a metà Novecento è divenuta «una voga [...] prettamente a livello popolare» mentre in precedenza si trattava di una «manifestazione colta» (p. 384). Da queste pagine, che nelle linee generali della riflessione teorica poco aggiungono, cogliamo il riferimento a una figura tipica dei romanzi dell’orrore, il mad doctor: il dottor Frankestein di Mary Shelley è insieme modello e summa delle caratteristiche immancabili in questo personaggio. Il richiamo alla scrittrice inglese ci permette di chiudere il cerchio tornando a parlare non solo di fumetto ma anche della nostra biblioteca. Il fumetto è Il rianimatore, numero 69 della collana Le Storie dell’editore Bonelli, sceneggiato da Antonio Costantini e disegnato da Claudio Montalbano. Ne è protagonista lo scienziato bolognese Giovanni Aldini, nipote di Luigi Galvani. È lui che in questa storia incarna la figura dello scienziato pazzo, che cerca di applicare alla rianimazione di cadaveri - prima di animali poi di umani - gli studi del celebre zio sull’elettricità presente nei corpi. Naturalmente nelle tavole di questo albo compare Bologna: il Teatro Comunale, il Museo del Patrimonio industriale - la storia si svolge su un doppio piano temporale, l’epoca in cui visse Aldini e il presente - e altri luoghi ben riconoscibili. Ma una parte della storia si svolge a Londra e nella prossima immagine ci traferiamo temporaneamente nella capitale inglese.   Il rianimatore, testo Antonio Costantini, disegni Claudio Montalbano, Milano, Bonelli, 2018. Collocazione: 17* AA. 5806
immagine di Antonio Costantini, Claudio Montalbano, Il rianimatore (2018)
Antonio Costantini, Claudio Montalbano, Il rianimatore (2018)
La leggenda racconta che a Londra nel 1803, una bambina di nome Mary Wollstonecraft Godwin, futura moglie del poeta Percy Bysse Shelley, assistette a uno spettacolo in cui Giovanni Aldini rianimò per qualche secondo il cadavere di un uomo. Da quel momento il dottor Frankenstein cominciò a popolare la fantasia della piccola. In questa vignetta la piccola Mary, che compare in altre due tavole, rimane paralizzata dallo spettacolo a cui ha appena assistito.   Il rianimatore, testo Antonio Costantini, disegni Claudio Montalbano, Milano, Bonelli, 2018. Collocazione: 17* AA. 5806
immagine di Antonio Costantini, Claudio Montalbano, Il rianimatore (2018)
Antonio Costantini, Claudio Montalbano, Il rianimatore (2018)
Dicevamo dei diversi luoghi di Bologna rappresentati nel fumetto. Visto il tema non poteva mancare il Palazzo dell’Archiginnasio e in particolare il Teatro Anatomico. In queste due tavole non lo si nomina esplicitamente ma le vignette sono chiaramente ispirate ad esso, pur se non prefettamente fedeli alla realtà.   Il rianimatore, testo Antonio Costantini, disegni Claudio Montalbano, Milano, Bonelli, 2018. Collocazione: 17* AA. 5806
immagine di Antonio Costantini, Claudio Montalbano, Il rianimatore (2018)
Antonio Costantini, Claudio Montalbano, Il rianimatore (2018)
La vignetta centrale di questa tavola invece è esplicitamente collocata nel Teatro Anatomico del Palazzo dell’Archiginnasio e la rappresentazione dell’ambiente è estremamente fedele alla realtà. Ne è protagonista Luigi Galvani, che in più di una occasione presiedette la funzione pubblica di anatomia, cioè la cerimonia aperta alla cittadinanza durante la quale, come nelle consuete lezioni destinate agli studenti dell’Università, veniva praticata la dissezione di un cadavere. La vignetta è però imprecisa in quanto «il lettore, cioè il docente di anatomia, sedeva in cattedra e leggeva dai testi classici i passi che si riferivano all’operazione. L’incisore eseguiva le dissezioni» (si veda la sezione dedicata al Teatro Anatomico della mostra online Palazzo dell’Archiginnasio. Augustissima Musarum Domicilia).   Il rianimatore, testo Antonio Costantini, disegni Claudio Montalbano, Milano, Bonelli, 2018. Collocazione: 17* AA. 5806
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