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Album "Il cimitero di Praga"

In questa gallery raccogliamo documenti che illustrano la genesi e la vita editoriale del romanzo Il cimitero di Praga di Umberto Eco (2010), che fanno riferimento agli eventi e ai temi trattati nell’opera o che possono avere fornito una base informativa per l’autore. Questa non vuole essere un’analisi scientifica ed esaustiva di fonti e documenti utilizzati dall’autore né tantomeno un’interpretazione del testo letterario (quando abbiamo presentato un’interpretazione critica è perché altri l’avevano già proposta e ci sembrava utile discuterne). Ancor meno si vuole dare un giudizio sui tanti temi complicati e scomodi presenti nel romanzo, che meritano approfondimenti ben più avanzati.

Quello che qui proponiamo è il resoconto di un’esperienza di lettura e di ricerca nel patrimonio della nostra biblioteca (con alcune escursioni su altre raccolte documentarie) che non vuole essere esaustivo di tutte le opere citate nel romanzo. Anzi anche l’assenza dalla gallery di alcuni testi citati da Eco, dovuta spesso al fatto che quella specifica opera non è conservata in biblioteca, può avere un significato per opere che spesso hanno avuto una vita controversa, trattato temi spinosi e viaggiato sul confine fra falso, plagio, provocazione e inganno.

Dove non diversamente specificato, l’indicazione delle pagine del romanzo citate si riferisce alla prima edizione, pubblicata nel 2010.

I documenti utilizzati sono quasi totalmente conservati e consultabili presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna. Salvo dove diversamente specificato la collocazione indicata è quindi relativa a questa biblioteca.

image de Umberto Eco, Il cimitero di Praga (2010)
Umberto Eco, Il cimitero di Praga (2010)
Il romanzo esce nell’ottobre 2010, come di consueto per l’editore Bompiani. Si tratta del sesto romanzo di Eco, atteso e accolto con grande curiosità da media e lettori. Non ci soffermeremo sulla storia editoriale del testo, molto più semplice e lineare rispetto a quella de Il nome della rosa (si veda la gallery ad esso dedicata), anche perché non se ne registrano adattamenti per linguaggi iconografici come fumetto o cinema e TV. Anche dal punto di vista del commento del testo o di una sua correzione da parte dello stesso autore - entrambe cose avvenute col primo romanzo, si vedano le Postille e le modifiche apportate a partire dal 2012 - la situazione è molto meno interessante. Eco commenta il suo lavoro solamente nelle brevi Inutili precisazioni erudite che seguono il testo narrativo (p. 515-521) e in diverse interviste e non viene mai esplicitato il fatto che il testo sia stato corretto o modificato rispetto alla prima edizione pubblicata. Anche l’ultima edizione (La nave di Teseo, 2020), diversamente da quanto fatto dalla stessa casa editrice per Il nome della rosa, non presenta nessun materiale di commento aggiuntivo. Questo però non significa che il testo non sia mai stato ritoccato, come vedremo nella prossima immagine.   Umberto Eco, Il cimitero di Praga, Milano Bompiani, 2010. Collocazione: BALSAMO A. 300 Nelle biblioteche del Comune di Bologna il romanzo è disponibile anche in formato ebook e audiolibro su compact disc.
image de Quanto guadagna Simonini?
Quanto guadagna Simonini?
Il testo del romanzo viene corretto in almeno un punto nel passaggio dalla prima edizione a quelle successive (nel 2011 Bompiani lo pubblica nella collana Vintage e nel 2013 nei Tascabili, in nessuno dei due casi aggiungendo materiali esplicativi o introduttivi). Vediamo il passo in questione nell’immagine a fianco, tratta dall’articolo di Paolo Divizia intitolato Il cimitero di Praga di Umberto Eco tra correzioni d’autore e traduzioni (in Edito, inedito, riedito. Saggi dall'XI Congresso degli italianisti scandinavi, p. 105-111: 107). La correzione si rende necessaria per eliminare una «iniziale incoerenza interna» (ivi, p. 106) chiaramente dovuta a un lapsus dell’autore che sommava guadagni mensili e guadagni annuali di Simonini senza tenere conto della diversa scala temporale. Nell’articolo non vengono citate - e non abbiamo trovato altre testimonianze in merito - ulteriori correzioni d’autore. Non varrebbe certamente la pena segnalare la questione se non fosse che nella già citata ultima edizione del 2020 viene inspiegabilmente riproposto il testo nella sua versione iniziale, quella incoerente.   Paolo Divizia, Il cimitero di Praga di Umberto Eco tra correzioni d’autore e traduzioni, in Edito, inedito, riedito. Saggi dall'XI Congresso degli italianisti scandinavi, Pisa, Pisa University Press, 2017, p. 105-111.
image de Gian Pio Mattogno, L'Eco di Israele (2013)
Gian Pio Mattogno, L'Eco di Israele (2013)
La pubblicazione di un romanzo di Eco generava sempre grande curiosità e conseguente proliferare di recensioni. Non andremo a riprenderle, limitandoci a poche citazioni per porre in tavola una questione importante perché base costitutiva del romanzo stesso. Il tema di nostro interesse non è la “questione ebraica”, che naturalmente divenne l’argomento principale di discussione intorno al romanzo, ma quello che potremmo definire il grado di verità e verificabilità delle vicende narrate. Il volumetto di cui vediamo la copertina ha un unico merito, quello di offrire una panoramica piuttosto ampia delle recensioni uscite all’indomani della pubblicazione. Per il resto è un perfetto esempio del modo sbagliato di leggere un romanzo e ancora più questo romanzo:   «Al pari di altri storici suoi sodali, lo smascheratore si adopera a dissimulare la vera natura e i veri fini del giudaismo internazionale, ma con l’aggravante che allo storico non è consentita la mancanza di rigore scientifico, mentre al romanziere Eco, con la scusa della licenza poetica e della tecnica narrativa della riscrittura, è perdonata ogni concessione alla caricatura, alla incongruenza, alla inverosimiglianza, al falso storico e al plagio». Gian Pio Mattogno, L'eco di Israele, p. 9.   Proprio il gioco della riscrittura, del celare le fonti utilizzandole nella narrazione senza dichiararle, di dare per veri documenti falsi, è il tema fondamentale del romanzo, che Eco trasferisce sapientemente - pur se talvolta in maniera quasi esagerata, tanto da rendere meno piacevole il semplice godimento della storia narrata - dal piano del contenuto a quello della forma. Fra i saggi che Eco dedica alla questione vanno ricordati almeno Falsi e contraffazioni, in I limiti dell’interpretazione (p. 162-192) e La forza del falso, in Sulla letteratura (p. 309-341). Il falsario Denis Vrain-Lucas, «uomo di genio» (p. 16) le cui imprese sono ricordate da Marc Bloch in Apologia della storia (p. 74-75), è il nume tutelare di un romanzo composto da pagine “plagiate” che però il lettore - se ne ha i mezzi - può identificare, inserti di altre opere raccontati a voce dagli autori stessi (lo stesso Mattogno li identifica nella nota 9), documenti di incerta paternità. Basta naturalmente ricordare la centralità che nella narrazione assumono i Protocolli dei Savi Anziani di Sion. Mattogno rappresenta coloro che dei Protocolli, di cui parleremo a lungo, pensano: «Sarà un falso, ma è un libro che dice esattamente ciò che gli ebrei pensano, quindi è vero». La citazione è tratta da Umberto Eco, gli ebrei e i complotti, dialogo fra Eco e il rabbino Riccardi Di Segni coordinato da Wlodek Goldkorn, che esce sul numero di «L’Espresso» del 28 ottobre 2010 (e non 2012 come erronemente indicato da Mattogno alla nota 38). Sono le parole con cui Eco riassume la posizione dell'antisemita britannica Nesta Webster. Mattogno non accetta che Eco si opponga all’antigiudaismo in veste di romanziere e non di storico. Alla fine lui stesso si sente in dovere di proporre un ipotetico testo dei Veri Protocolli dei Savi Maestri di Sion, creando, a sua volta ma con nessuna ironia, un falso testo nato dall’accostarsi di citazioni estratte dai documenti più disparati che facciano comodo allo scopo che si è prefisso. Di Il cimitero di Praga  potremmo dire quello che all’interno del romanzo stesso l’abate Dalla Piccola scrive commentando i racconti fatti da Boullan: «Non eravamo sicuri che ci raccontasse la verità, ma non era questo il punto» (p. 446). La domanda quindi non è se il romanzo di Eco è storicamente veritiero (naturalmente no). La domanda è: i lettori sono in grado di decodificarlo in maniera corretta? È questa la preoccupazione del rabbino Riccardo Di Segni nel dialogo pubblicato su «L’Espresso» citato prima.  Di Segni afferma:   «"Penso che il messaggio di Eco sia ambiguo [...] Il lettore cosa ne capisce? È vero o non è vero ciò che si racconta? [...] Alla fine il lettore si chiede: ma questi ebrei, vogliono o non vogliono scardinare la società e governare il mondo? Il problema è che non si tratta di un libro scientifico che analizza e spiega i fenomeni. Il Cimitero di Praga è un romanzo. E in più ha una trama avvincente, che finisce per convincere”».   Questa la risposta di Eco:   «“Il rabbino mi chiede: cosa era vero. Io rispondo: il lettore dovrebbe capire che niente era vero. Che era tutto dossieraggio, una costruzione d[e]i servizi. Sono cosciente delle ambiguità che possono nascere. Ma la mia intenzione era quella di dare un pugno nello stomaco del lettore. [...] Credo di aver dato al lettore tutte le chiavi per capire"».   La questione di fondo è dunque sempre la capacità del lettore di decodificare il testo del romanzo. O, che è un’altra faccia della stessa medaglia, la possibilità che il testo offra agganci a chi in mala fede vuole stravolgerne il senso. Forse andando oltre le proprie intenzioni, Eco ha quindi creato un romanzo che pone esattamente gli stessi problemi interpretativi discussi al suo interno relativamente a molti altri documenti e all’uso che ne è stato fatto (o se ne sarebbe potuto fare). Sul tema della falsificazione di documenti scritti si veda anche l’interessante capitolo Il falsario come autore che Luciano Canfora aggiunge all’edizione accresciuta di Il copista come autore pubblicata nel 2019 (la prima edizione era uscita nel 2002).   Gian Pio Mattogno, L'eco di Israele. Falsi propagandistici, verità occultate e ambigue imprudenze nel romanzo di Umberto Eco Il Cimitero di Praga, Genova, Effepi, 2013. Collocazione: 20. K. 4211   Umberto Eco, gli ebrei e i complotti, a cura di Wlodek Goldkorn, «L’Espresso», LVI, n. 43, 28 ottobre 2010.
image de Carlo Tenca, La ca' dei cani (1985)
Carlo Tenca, La ca' dei cani (1985)
Eco pone in esergo al suo romanzo una citazione tratta da La Ca’ dei cani, racconto di Carlo Tenca del 1840:   Perché gli episodi sono pur necessari, anzi costituiscono la parte principale di un racconto storico, vi abbiamo introdotto la esecuzione di cento cittadini sulla pubblica piazza, quella di due frati abbruciati vivi, l’apparizione di una cometa, tutte descrizioni che valgono per quelle di cento tornei, e che hanno il pregio di sviare più che mai la mente del lettore dal fatto principale.   Le questioni trattate nell’immagine precedente sono già poste sul tavolo in questa citazione: il racconto storico si arricchisce di episodi che servono a distrarre il lettore, rendendo più interessante la lettura rispetto alla semplice narrazione dei fatti storicamente documentata. Nell’introduzione a questa edizione dell’opera di Tenca, pubblicata nel 1985, la curatrice Marinella Colummi Camerino richiama da subito quelle «trasformazioni indotte [...] dall’incipiente industrializzazione dell’editoria» (p. 6) che si incontrano anche nel romanzo di Eco, sia quando si parla del feuilleton che quando, soprattutto nella parte finale del testo, il desiderio di guadagnare denaro dalla vendita dei libri si intreccia a quello di diffondere specifici messaggi, spingendo il protagonista a mettere in piedi una vera e propria fabbrica di bestsellers.   Carlo Tenca, La Ca' dei cani, a cura di Marinella Colummi Camerino, [Napoli], Guida, [1985]. Collocazione: ANCESCHI D, 23, 24    
image de La vecchia parigi e la Tour Eiffel
La vecchia parigi e la Tour Eiffel
Il primo capitolo del romanzo, Il passante che in quella grigia mattina, è una affascinante passeggiata di avvicinamento alla casa del protagonista, Simone Simonini, che abita nelle vicinanze di place Maubert, in «uno dei pochi luoghi di Parigi risparmiato dagli sventramenti del barone Haussmann» (p. 7). La nostalgia per la vecchia città viene espressa da Simonini poche pagine dopo, acuita dai nuovi stravolgimenti apportati alla topografia della capitale dall’Esposizione del 1889 e in particolare da «quel temperamatite della Tour Eiffel» (p. 29). Questa spettacolare immagine, tratta proprio dalle dispense che illustrano le meraviglie dell’Esposizione, mostra l’impatto che ebbe sul panorama parigino la costruzione della «orribile torre» (p. 410) che, agli occhi di Simonini, ha l’ulteriore difetto di essere stata progettata da un ebreo.   L’Esposizione di Parigi del 1889 illustrata, n. 1 (1889)-n. 70 (1889), Milano, E. Sonzogno, 1890. Collocazione: 34. E. 960 (1889)    
image de La Salpêtrière
La Salpêtrière
Un’altra immagine tratta dalle dispense dell’Esposizione del 1889 illustra uno dei temi che, introdotto nel capitolo terzo, Chez Magny, verrà ripreso più avanti nel diario che Simonini e il suo alter ego, l’abate Dalla Piccola, stanno scrivendo per ricordare gli eventi degli anni precedenti. Nel ristorante che dà il titolo al capitolo il protagonista incontra molti medici della Salpêtrière, la clinica psichiatrica in cui il dottor Charcot e altri medici stanno sperimentando nuove cure dell’isteria femminile. Ipnotismo e magnetismo sono tecniche considerate ai confini fra scienza, magia e impostura. Così si esprime uno dei commensali di Simonini, il dottor Bourru: «Per noi quello che spesso avviene alla Salpêtrière sa più di teatro che di clinica psichiatrica» (p. 41). Gli stessi dottori con cui Simonini condivide il pasto gli parlano per la prima volta di Diana Vaughan, che soffre di una dissociazione della personalità e che dal capitolo 22 diventerà collaboratrice del protagonista e di Léo Taxil.   L’Esposizione di Parigi del 1889 illustrata, n. 1 (1889)-n. 70 (1889), Milano, E. Sonzogno, 1890. Collocazione: 34. E. 960 (1889)
image de George Gilles de la Tourette, L'ipnotismo e gli stati analoghi sotto l'aspetto medico legale (1888)
George Gilles de la Tourette, L'ipnotismo e gli stati analoghi sotto l'aspetto medico legale (1888)
Questa edizione italiana del volume sull’ipnotismo scritto da George Gilles de la Tourette, allievo del luminare dottor J.M. Charcot spesso citato da Eco, esce negli stessi anni in cui il protagonista sperimenta le tecniche dell’ipnosi su Diana (p. 363-364). Se si leggono le pagine introduttive al volume, scritte dal curatore dell’edizione italiana Luigi Bufalini e dallo stesso Charcot, si coglie l’intento di togliere l’ipnosi dalle mani di imbroglioni che vogliono sottrarre denaro agli ingenui, per dare a queste tecniche piena dignità scientifica e medica.   Gilles de La Tourette, L'ipnotismo e gli stati analoghi sotto l'aspetto medico-legale. Gli stati ipnotici e gli stati analoghi, le suggestioni criminali, gabinetti di sonnambule e società di magnetismo e spiritismo, l'ipnotismo di fronte alla legge, con prefazioni dei professori Brouardel e Charcot, versione italiana del dott. Luigi Bufalini, Milano, Vallardi, 1888. Collocazione: VENTURINI A. 430
image de Jean-Martin Charcot, Clinique des maladies du système nerveux (1892-1893)
Jean-Martin Charcot, Clinique des maladies du système nerveux (1892-1893)
Un volume del dottor Jean-Martin Charcot che, come si vede dalla pagina qui mostrata a fianco del frontespizio, venne donata alla Società medica chirurgica di Bologna - che ha sede nel Palazzo dell’Archiginnasio - da George Guinon, che dirigeva la clinica in cui esercitava Charcot.   Jean-Martin Charcot, Clinique des maladies du système nerveux, vol. 1, Parigi, aux bureaux du Progrès médical, veuve Babé, 1892-1893. Collocazione: 10*. Q. II. 28  
image de Il pregiudizio
Il pregiudizio
Un romanzo il cui protagonista - vittima di amnesia e di uno sdoppiamento di personalità che lo renderebbe paziente ideale per Charcot e gli altri medici citati in precedenza - deve ricostruire lo svolgersi della propria vita non può che prendere le mosse da un capitolo intitolato Chi sono? Sembra in realtà che il personaggio sappia perfettamente chi non vuole essere, dal momento che le prime pagine sono una raccolta dei più scontati e triti luoghi comuni e pregiudizi su diversi gruppi di persone: gli ebrei, naturalmente, i tedeschi, i francesi, le donne, gli italiani. Eco svela il meccanismo del pregiudizio in un breve passo che, nell’ambito di una tirata contro gli italiani del nord e del sud, va a colpire «gli scugnizzi che a Napoli incantano gli stranieri strangolandosi di spaghetti che s’infilano nel gorgozzule con le dita, sbrodolandosi di pomodoro andato a male. Non li ho visti, credo, ma lo so» (p. 17). L’immagine dei giovani (e non solo) che a Napoli mangiano spaghetti - in realtà si parlava di “maccaroni”, a fine Ottocento - facendoli calare in bocca dall’alto tenendoli con le mani è molto diffusa fin dalla metà del Seicento, in particolare nei resoconti di viaggio come quello da cui è tratta l’illustrazione che qui vediamo. Il protagonista di Il cimitero di Praga molto probabilmente non ha mai visto questa scena - ma anche su questo c’è ambiguità («credo», dice) avendo egli perso la memoria - ma assume come corretto e veritiero un racconto solo perché diffuso e ormai entrato nell’immaginario comune. Anche il dettaglio del pomodoro che cola ci dà un’informazione. Lo stereotipo che ha in mente Simonini è aggiornato rispetto alle immagini sei-settecentesche. Infatti solo una ricetta di Ippolito Cavalcanti del 1837 sigla «l’atto definitivo della nascita della pasta al pomodoro» (Luca Cesari, Storia della pasta in dieci piatti. Dai tortellini alla carbonara, p. 236). Anche se «Alla fine dell’Ottocento [quindi quando il protagonista di Eco scrive le parole sopra citate, n. d. r.] il pomodoro sulla pasta era ormai ampiamente diffuso in tutta Italia» (ivi, p. 238), il personaggio considera quel piatto e, ancora di più, il gesto di mangiarlo con le mani, un elemento caratterizzante (in negativo, naturalmente) della popolazione napoletana, dimostrando che la sua visione è ampiamente infarcita di luoghi comuni. Questo e altri riferimenti culinari contenuti nelle prime pagine (le salsicce e la birra di cui si ingozzano i tedeschi, per esempio) hanno ancora più significato se si pensa all’importanza che il cibo riveste nella vita del protagonista, vero e proprio “ghiottone”, sempre in cerca delle migliori leccornie e dei luoghi più adatti in cui gustarle. Per approfondire il tema del consumo di pasta a Napoli e dell’iconografia che ne deriva, consigliamo di sfogliare la sezione III della mostra Pasta. Fresca secca colorata e ripiena nei documenti dell'Archiginnasio, tenutasi presso la nostra biblioteca nel 2024.   I mangia-maccaroni, illustrazione tratta da un’opera di metà XIX secolo qui proposta in una edizione novecentesca:Francesco de Bourcard, Usi e costumi di Napoli e contorni, Milano, Longanesi, 1955.Collocazione: 8. ii*. I. 24
image de Augustin Barruel, Abrégé des mémoires pour servir à l'histoire du Jacobinisme (1799)
Augustin Barruel, Abrégé des mémoires pour servir à l'histoire du Jacobinisme (1799)
L’interesse di Eco per i Protocolli dei Savi Anziani di Sion è ben documentato in alcuni scritti precedenti Il cimitero di Praga, tanto che nel citato dialogo con Di Segni uscito su «L’Espresso» Goldkorn afferma che lo studioso ne è «ossessionato». Dopo averli inseriti in quella grande trattazione delle fantasie di complotto che è Il pendolo di Foucault, Eco stranamente non parla dei Protocolli nel saggio citato in precedenza Falsi e contraffazioni (che trova forma definitiva nel 1990 in I limiti dell’interpretazione, p. 162-192). Tornano però al centro dell’attenzione di una delle Norton Lectures tenute a Harvard nel 1992-1993 pubblicate in Sei passeggiate nei boschi narrativi. La sesta conferenza si intitola Protocolli fittizi e ricostruisce - inserendola all’interno di un ragionamento che si interroga sul rapporto fra il mondo finzionale e quello reale in cui viviamo, e su come siamo portati a prestare fede a un racconto proprio sulla base di questo rapporto (il titolo della conferenza quindi ha doppio significato) - la genesi dei Protocolli, documento la cui falsità è stata più volte dimostrata ma che viene costantemente riproposto come reale e/o veritiero (i due aggettivi non coincidono ma si leggano le pagine in questione per approfondire) da più parti. Ma soprattutto, cosa ancora più importante, viene recepito ancora da parte dei lettori come reale e/o veritiero. Eco torna sul tema in altre occasioni, come la prefazione al fumetto di Will Eisner Il complotto. La storia segreta dei Protocolli dei Savi di Sion, in cui lo scrittore parla di «“romanzo dei Protocolli”» (p. VI). La storia di questo documento quindi è così interessante e stupefacente, è così “romanzesca” potremmo dire, che meriterebbe di essere raccontata in un testo finzionale. Questa prefazione è del 2005. Pochi anni dopo, con Il cimitero di Praga, Eco realizzerà questo progetto. In tutti questi scritti, così come nel romanzo, Eco afferma di avere individuato fonti ispiratrici dei Protocolli precedenti a quello che è tradizionalmente considerato il documento generatore di questa enorme costruzione di falsi e plagi, che è l’opera dell’abate Barruel Mémoires pour servir à l'histoire du Jacobinisme, uscito fra 1797 e 1798. Vediamo qui il frontespizio di un riassunto della ponderosa opera di Barruel. Per una storia della costruzione dei Protocolli si veda quella che è anche la fonte principale dichiarata da Eco in Sei passeggiate nei boschi narrativi (p. 171 nota 16), il libro di Norman Cohn Licenza per un genocidio. I “Protocolli degli Anziani di Sion”: storia di un falso, in particolare il primo capitolo, Le origini di un mito (p. 3-20).   Augustin Barruel, Abrégé des Mémoires pour servir à l'histoire du Jacobinisme, Londra, Ph. Le Boussonnier, Amburgo [et al.], P.F. Fauche, 1799. Collocazione: 32. B. 501    
image de Augustin Barruel, Memorie per servire alla storia del giacobinismo (1799-1800)
Augustin Barruel, Memorie per servire alla storia del giacobinismo (1799-1800)
Il lavoro di Barruel, in questa traduzione italiana che esce quasi in contemporanea con l’originale francese, occupa 13 corposi tomi (divisi in quattro volumi). Come nel frontespizio che qui vediamo, in nessuno dei tomi vengono indicati nome e luogo di edizione o stampa. Il riassunto visto in precedenza, così come la prima edizione integrale, erano invece stati pubblicati fuori dalla Francia. Tutti segnali che indicano che l’opera di Barruel era un libro “scomodo” in quel momento, in quanto metteva in discussione la genesi popolare della Rivoluzione Francese, che sarebbe stata invece orchestrata da una setta segreta capace di decidere i destini del mondo. È questo il nucleo generativo dei Protocolli, in cui la setta segreta sarà sostituita dagli ebrei. Ma molti saranno i passaggi intermedi, così tanti che sarà impossibile vederli tutti - anche perché non tutti presenti nella nostra biblioteca. Relativamente alle traduzioni italiane di Barruel, interessante - e inquietante - la nota con cui Wu Ming 1 commenta una citazione del lavoro dell’abate da lui fatta in La Q di Qomplotto:   «Memorie per la storia del giacobinismo scritte dall’abate Barruel, traduzione dal francese, tomo terzo 1802. Su diversi siti dell’estrema destra cattolica italiana - Progetto Barruel, Traditio, Sursum Corda, ecc. - si trova un’edizione digitale delle Memorie che reca quest’intestazione con tanto di anno di stampa, ma la traduzione non corrisponde a quella dichiarata, della quale sembra un ammodernamento, una resa in italiano contemporaneo. Chiedere rigore filologico e coerenza nelle citazioni a chi diffonde fantasie di complotto sarebbe forse troppo, ma potremmo almeno chiedere rispetto della tradizione a chi si vanta di essere tradizionalista. Perché tradurre la messa dal latino all’italiano non andava bene, se va bene “tradurre” surrettiziamente una traduzione del 1802?» Wu Ming 1, La Q di Qomplotto, p. 587.   Barruel ha ancora una sua fecondità in certi ambienti, a distanza di due secoli. Torneremo sul libro di Wu Ming 1 quando parleremo di Il pendolo di Foucault.   Augustin Barruel, Memorie per servire alla storia del giacobinismo, 4 vol. in 13 tomi, [Venezia?], s.n., 1799-1800. Collocazione: 5. V*. VI. 13-25
image de Lettera di Giovanni Battista Simonini a Barruel
Lettera di Giovanni Battista Simonini a Barruel
Il passo decisivo per scrivere il «“romanzo dei Protocolli”» è la creazione di un protagonista che possa tenere in mano i fili della narrazione attraversando più di mezzo secolo di storia europea rimanendo nell’ombra. Il prototipo di quel personaggio esiste già. Anzi, forse non è mai esistito ma spesso si è dato credito alla sua esistenza. È il capitano Giovanni Battista Simonini. In un romanzo è perfettamente lecito assumere come reale la sua figura, costruirgli intorno un ambiente e una famiglia e utilizzare un suo discendente, il nipote Simone Simonini (sicuramente personaggio fittizio ma, lo abbiamo visto, anche incerto sulla propria identità), come protagonista e erede dell’odio antiebraico del nonno. Ma chi era Giovanni Battista Simonini, o meglio l’entità autoriale che venne chiamata Giovanni Battista Simonini? Lasciamo la parola all’Eco saggista, che rivela quello che lo stesso Simone racconta nel romanzo ricostruendo la proria infanzia nel quarto capitolo, I tempi del nonno:   «Il libro di Barruel non conteneva alcun riferimento agli ebrei. Ma nel 1806 Barruel ricevette una lettera da un certo capitano Simonini che gli ricordava come Mani e il Veglio della Montagna (notoriamente alleati dei Templari originali) fossero ebrei anch’essi, che la massoneria era stata fondata da ebrei, e che gli ebrei si erano infiltrati in tutte le società segrete. Sembra che la lettera di Simonini fosse stata forgiata da agenti di Fouché [capo della polizia politica francese, n.d.r.], il quale era preoccupato dei contatti di Napoleone con la comunità ebraica francese. Barruel fu preoccupato dalle rivelazioni di Simonini e pare avesse affermato privatamente che a pubblicarla si sarebbe corso il rischio di un massacro. Di fatto egli scrisse un testo dove accettava l’idea di Simonini, poi lo distrusse, ma la voce si era ormai diffusa. Questa voce non produsse effetti interessanti sino alla metà del secolo, quando i Gesuiti iniziarono a preoccuparsi degli ispiratori anticlericali del Risorgimento, come Garibaldi, che erano affiliati alla massoneria. L’idea di mostrare che i Carbonari erano gli emissari di un complotto giudeo-massonico appariva polemicamente fruttuosa». (Umberto Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, p. 166-167).   Idea fruttuosa anche sul piano narrativo, visto che in queste poche righe vediamo davvero il riassunto di buona parte del romanzo pubblicato circa 15 anni dopo. La lettera di Simonini viene riscoperta in più occasioni. Qui vediamo la prima pagina della prima traduzione italiana, pubblicata sul periodico «La civiltà cattolica» nell’ottobre 1882. Qui è possibile leggere integralmente questa prima traduzione.   Documento inedito sopra l’influenza degli ebrei in tutte le sètte massoniche, liberali ed anticlericali, cioè anticristiane. Si conferma come nella razza ebrea sia la naturale sede dell’Alta Massoneria, «La civiltà cattolica», XXXIII, 1882, vol. 12, p. 219-228. Collocazione: 19/155
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Simonino da Trento
Il cognome Simonini non sembra proprio essere stato scelto a caso da chi - probabilmente la polizia politica di Fouché - costruisce il personaggio Giovanni Battista Simonini per denunciare e colpire gli ebrei. Eco coglie la palla al balzo ed eleva al quadrato il riferimento storico dando al suo protagonista il nome di Simone, per la famiglia Simonino. Leggiamo dal capitolo I tempi del nonno:   «Tu sai perché ti chiami Simonino? Ho voluto che i tuoi genitori ti battezzassero così in memoria di san Simonino, un bimbo martire che nel lontano Quattrocento, in quel di Trento, fu rapito dagli ebrei che lo hanno ucciso e poi fatto a pezzi, sempre per usarne il sangue nei loro riti» (p. 73)   Il caso è noto: nel 1475 un bambino cristiano di nome Simone scompare a Trento. Il suo cadavere, con diverse ferite, viene ritrovato tre giorni dopo vicino alla casa del rappresentante della comunità ebraica della città. Immediatamente - ma già prima del ritrovamento erano sorte accuse, alimentate dal pregiudizio secondo cui gli ebrei di rito askhenazita utilizzerebbero sangue di bambini cristiani per i riti della Pasqua - molti ebrei vengono arrestati con l’accusa di avere rapito e ucciso Simone. Il processo porterà alla condanna e all’uccisione di decine di persone. È il caso forse più conosciuto e discusso fra i tanti che nei secoli possono essere ascritti a quella “accusa del sangue” su cui molti hanno scritto (si veda, fra i testi più interessanti, quello di Furio Jesi che ha titolo proprio L’accusa del sangue. Mitologie dell’antisemitismo). In realtà il caso di Simonino non viene più citato da Eco nel romanzo e anche le accuse di “cannibalismo” sono appena accennate nelle pagine successive, in cui hanno molta più importanza, nella costruzione del preteso complotto ebraico, questioni economiche e di potere. Vero è che «Ancora oggi le divine baronesse ebree che tengono salotto mettono sangue di bambini cristiani nei dolci», ma questi sono dettagli di costume, il vero problema, dice Drumont in Il cimitero di Praga, è che «Il semita è mercantile, cupido, intrigante, sottile, astuto» (p. 403). Il caso di Simonino - e più in generale le accuse appena riportate relativamente all’utilizzo di sangue umano nei riti ebraici - ci offrono lo spunto per alcune riflessioni extraromanzesche, legate a come si possano diffondere voci e notizie false attraverso i documenti. E quindi quale sia il ruolo di chi i documenti li produce, li interpreta o li conserva (oppure no). Quindi anche sul ruolo delle biblioteche. Il caso di San Simonino ha un’eco così ampia e immediata che la «straordinaria silografia» che vediamo qui - che rappresenta appunto l’uccisione di Simonino come immaginata da Hartmann Schedel nel suo Liber chronicarum - dopo meno di 20 anni dai fatti «deve essere considerata la sintesi conclusiva e insieme il trionfo formale di una grande operazione propagandistica progettata a Trento nel 1475» (Ugo Rozzo, Il presunto "omicidio rituale" di Simonino di Trento e il primo santo tipografo, p. 186). Il caso infatti era già comparso in molte pubblicazioni precedenti a quella di Schedel e continuerà a guadagnarsi spazio sulle pagine di molti documenti antiebraici pubblicati nei secoli successivi. Il culto del santo bambino si afferma quindi quasi a furor di popolo - e appunto con il fondamentale sostegno dei documenti a stampa che permettevano una proliferazione delle copie circolanti - e avrà anche una diffusione geografica straordinariamente ampia (si veda a riguardo Il Simonino. Geografia di un culto di Valentina Perini). Il caso d’altra parte rientra all’interno di una tradizione di santificazione di bambini piuttosto diffusa, riguardo alla quale si veda Bambini santi. Rappresentazione dell'infanzia e modelli agiografici, che contiene il saggio di Anna Esposito La morte di un bambino e la nascita di un martire: Simonino da Trento (p. 99-118).   Hartmann Schedel, Liber chronicarum, Norimberga, Anton Koberger, Sebald Schreyer & Sebastian Kammermeister, 12 luglio 1493.Collocazione: 16.E.I.1
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Cristiana Facchini, Infamanti dicerie (2014)
Mostriamo questo volume di Cristiana Facchini perché, diversamente da molti altri studi, non si occupa di come i cristiani hanno costruito il pregiudizio antigiudaico del consumo rituale del sangue, ma di come gli ebrei se ne sono difesi. In particolare analizza il Vindex sanguinis, la prima autodifesa documentabile, pubblicata a Amsterdam nel 1681 e firmata con lo pseudonimo Isaac Viva. Opera non presente nella nostra biblioteca e molto rara in tutte le biblioteche italiane (nel catalogo nazionale compare solamente in una edizione tedesca, sempre del 1681, in cui viene pubblicata insieme ad altre opere antigiudaiche). Nel 1999 la stessa Cristiana Facchini aveva pubblicato un articolo sul tema rintracciabile in rete: Il Vindex sanguinis di Isaac Viva. Di una polemica sull’accusa di omicidio rituale.   Cristiana Facchini, Infamanti dicerie. La prima autodifesa ebraica dall'accusa del sangue, Bologna, EDB, 2014. Collocazione: ARPE-BO A. 2228
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Martirio di S. Simone di Trento (1608)
Uno dei molti testi che, anche a distanza di più di un secolo dai fatti, celebra il culto di san Simonino. L’opera è leggibile integralmente online.   Martirio di S. Simone di Trento. Nel quale si tratta de la gran crudeltà che vsarono gli empi Ebrei in martirizarlo, Trento, Giovanni Battista Gelmini, 1608. Collocazione: 1 St.Sacra, Vite di Santi, Caps V, 27
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Vincenzo Manzini, La superstizione omicida e i sacrifici umani (1930)
I Protocolli dei Savi Anziani di Sion sono uno dei falsi che hanno cambiato la storia del mondo di cui Eco tratta nel già citato La forza del falso (in Idem, Sulla letteratura). Le pagine di questo saggio dedicate ai Protocolli riprendono quanto già scritto in Sei passeggiate nei boschi narrativi ma, dice Eco, questa storia «è sempre bene ripeterla, e purtroppo non basterà mai» (p. 331, nota 8). In Licenza per un genocidio Norman Cohn mostra come i Protocolli abbiano giocato un ruolo importante nella Germania nazista nell’alimentare l’odio antiebraico e quindi aprire la strada all’accettazione della cosiddetta “soluzione finale”. Nell’Italia degli anni Trenta del Novecento l’accusa del sangue, e in particolare il caso di Simonino, rivestirono una funzione simile nelle politiche razziste del regime fascista. Prima di testimoniare quanto detto tramite alcune pagine tratte da «La difesa della razza», vogliamo però ricordare come questi stessi temi vennero utilizzati in maniera opposta, all’interno di quel clima di crescente antigiudaismo, dall’insigne giurista Vincenzo Mazzini, che inserì l’accusa del sangue all’interno di un quadro storico più ampio, per mostrare come di simili attacchi a un nemico di religione opposta alla propria fosse costellata la vicenda umana e sociale dall’antichità ad oggi. In questo modo smascherava il meccanismo con cui queste accuse venivano fabbricate, volta per volta contro l’una o l’altra credenza religiosa, a dimostrazione della loro falsità e artificialità. Si veda a testimonianza di quanto detto l’indice dell’opera di cui qui vediamo la copertina, che nel 1930 aggiorna e approfondisce un lavoro già pubblicato da Manzini cinque anni prima e oggi disponibile in rete. Lo stesso Eco rileva che accuse simili a quelle mosse agli ebrei erano usate contro il «nemico interno al cristianesimo, l’eretico» (Umberto Eco, Costruire il nemico, in Idem, Costruire il nemico e altri scritti occasionali, p. 9-36: 20). Sulla copertina del volume di Manzini compare proprio un’illustrazione di Simonino, di cui Manzini ricostruisce la storia evidenziando la falsità delle accuse contro gli ebrei - «un cristiano, tale Zaneto, detto lo Svizzero» (p. 108) confessò l’omicidio - ma anche le difficoltà della Chiesa di fronte al crescente culto popolare per il bambino, inizialmente proibito ma poi accettato a furor di popolo.   Vincenzo Manzini, La superstizione omicida e i sacrifici umani con particolare riguardo alle accuse contro gli ebrei, 2. ed. accresciuta, Padova, CEDAM, 1930. Collocazione: VENTURINI B. 872
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«La difesa della razza», I, n. 1, 5 agosto 1938
«Nella copertina dei primi tre numeri della Difesa della razza, la razza ariana assume le sembianze di una statua romana, da cui si capisce che l’italianità vagheggiata dai razzisti fascisti appartiene a un passato mitico, depositario di antiche virtù eroiche. La razza nera o camitica è invece personificata da una testa africana, unico soggeto “in carne e ossa” che, nelle intenzioni degli autori del fotomontaggio, dovrebbe far scattare connotazioni di “animalità”, anche grazie ai suoi tratti somatici che, agli occhi di un razzista, appaiono lontani dall’ideale della bellezza classica. Viene così creata una giustapposizione polemica tra la cultura della nobile razza ario-romana e la natura bruta attribuita agli africani. In mezzo tra i due opposti sta la razza semitica, rappresentata da un bassorilievo con i tratti stilizzati di una caricatura. L’effigie ebraica presenta alcuni aspetti in comune con entrambe le figure che la incorniciano. Come la statua romana si tratta di un artefatto culturale. Come la fotografia della testa africana, i connotati della testa ebraica sono grottescamente irregolari. L’impressione che se ne ricava è che, mentre la razza camitica rappresenta la negazione di ogni forma di civiltà (e dunque si presta a essere dominata e civilizzata), la razza semitica costituisca una corruzione della civiltà stessa. In altre parole, quella africana è la razza selvaggia da assoggettare, mentre l’ebraica è la razza degenerata da debellare». Valentina Pisanty, La difesa della razza. Antologia 1938-1943, p. 255-256.   La Prefazione al libro di Valentina Pisanty sopra citato è di Umberto Eco, che così scrive:   «È difficile oggi leggere queste pagine senza provare un sentimento a metà tra l’orrore e il sarcasmo: come è possibile che queste cose siano state scritte, che molti le abbiano lette, che tantissimi le abbiano credute, che la maggioranza degli italiani le abbia ignorate, o tollerate, o lasciate passare come innocente esercizio filosofico o parascientifico?» (ivi, p. 9-10)   Basta leggere le prime pagine di questo primo numero del periodico per capire cosa intenda Eco, che naturalmente conosce benissio la risposta alla sua domanda retorica: Il cimitero di Praga infatti mette in scena proprio quello che una “macchina della propaganda” ben orchestrata e organizzata può ottenere. Soprattutto nella società contemporanea verrebbe da dire, in cui i mezzi di comunicazione hanno tanta importanza e diffusione. Ma proprio il caso di Simonino dimostra che anche sei secoli fa era possibile manipolare l’opinione pubblica e costruire false convinzioni. È bene però ricordare anche che l’antiebraismo fascista non fu diffuso solamente tramite la propaganda e i mezzi di comunicazione, ma istituzionalizzato con leggi specifiche volte a colpire gli ebrei in ogni ambito della vita quotidiana. A solo titolo di esemplificazione invitiamo a leggere l’articolo di Maurizio Avanzolini L’eterno nemico. Dalla censura libraria all’applicazione delle leggi razziali: il Ventennio fascista nella Biblioteca dell’Archiginnasio, che illustra l’impatto che ebbero diversi provvedimenti legislativi antiebraici sulla vita della nostra biblioteca e di chi vi lavorava o la frequentava durante il regime fascista.   «La difesa della razza», I, n. 1, 5 agosto 1938. Collocazione: B. XI. 15 Il periodico «La difesa della razza» è integralmente consultabile online.
image de «La difesa della razza», I, n. 4, 20 settembre 1938
«La difesa della razza», I, n. 4, 20 settembre 1938
«La scelta di distorcere i tratti somatici dell’Ebreo in senso caricaturale è una costante dell’iconografia della Difesa della razza, come si evince da alcune sue copertine. Spesso esse citano gli ebrei in maniera più obliqua, facendo uso di simboli come la stella di David o la Menorah: questa scelta contribuisce a de-umanizzare la figura dell’Ebreo, circondandola di un alone di sinistro mistero». Valentina Pisanty, La difesa della razza. Antologia 1938-1943, p. 257.   «La difesa della razza», I, n. 4, 20 settembre 1938. Collocazione: B. XI. 15
image de «La difesa della razza», IV, n. 17, 5 luglio 1941
«La difesa della razza», IV, n. 17, 5 luglio 1941
La Russia è terreno di antisemitismo profondo. L’incarnazione definitiva dei Protocolli nascerà proprio in quel paese. Molti sono i personaggi russi nel romanzo di Eco, anche se la documentazione delle opere da loro pubblicate non è di facile reperibilità. Inevitabile per la dittatura fascista l’accoppiamento fra pericolo giudaico e pericolo bolscevico, come in questa grottesca e caricaturale illustrazione. Per un approfondimento sulla condizione ebraica in Russia nel periodo raccontato nel romanzo si vedano La giudeofobia in Russia. Dal libro del Kahal ai Protocolli dei savi di Sion, con un'antologia di testi di Cesare G. de Michelis e L'ombra del kahal. Immaginario antisemita nella Russia dell'Ottocento di Alessandro Cifariello.   «La difesa della razza», IV, n. 17, 5 luglio 1941. Collocazione: B. XI. 15
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«La difesa della razza», II, n. 22, 20 settembre 1939
In un articolo dedicato ai riti ebraici fa la sua comparsa Simonino.   «La difesa della razza», II, n. 22, 20 settembre 1939. Collocazione: B. XI. 15
image de «La difesa della razza», II, n. 19, 5 agosto 1941
«La difesa della razza», II, n. 19, 5 agosto 1941
L’accusa del sangue conquista la copertina.   «La difesa della razza», II, n. 19, 5 agosto 1941. Collocazione: B. XI. 15
image de «La difesa della razza», V, n. 6, 20 gennaio 1942
«La difesa della razza», V, n. 6, 20 gennaio 1942
Infine è lo stesso Simonino che occupa lo spazio più importante del numero. E lo fa con l’immagine più famosa, la xilografia del Liber Chronicarum di Hartmann Schedel di cui già abbiamo parlato. L’immagine, in questo numero, viene utilizzata per illustrare un articolo riguardante la circoncisione dei bambini, in cui si legge che «Nel famoso processo per l’assassinio (1475) di Simonino da Trento, uno degli imputati (poi condannato a morte), l’ebreo Angelo, confessò che sopra il prepuzio, durante la circoncisione si usava appunto sangue polverizzato di un fanciullo cristiano martirizzato» (p. 27). Sembra davvero di cogliere nel suo dispiegarsi quel meccanismo di costruzione del nemico di cui Eco tratta in un suo saggio e che si ripete in tutte le epoche. Dopo avere riassunto la descrizione dei costumi ebraici fatta da Tacito, Eco commenta:    «Gli ebrei sono “strani” perché si astengono dalla carne di maiale, non mettono lievito nel pane, oziano il settimo giorno, si sposano solo tra loro, si circoncidono (si badi) non perché sia una norma igienica o religiosa, ma “per marcare la loro diversità, seppelliscono i morti e non venerano i nostri Cesari. Una volta dimostrato quanto siano diversi alcuni costumi reali (cincorcisione, riposo del sabato), si può sottolineare ulteriormente la diversità inserendo nel ritratto costumi leggendari (consacrano l’effigie di un asino, spregiano genitori, figli, fratelli, la patria e gli dei)». Umberto Eco, Costruire il nemico, cit., p. 12).   Per concludere questa breve carrellata dedicata a «La difesa della razza», ringraziamo Pietro Delcorno per averci anticipato alcune pagine della postfazione da lui scritta per il volume di imminente pubblicazione Santi in camicia nera di Davide Recchi, in cui vengono analizzate alcune occorrenze del caso Simonino sulla rivista. Nelle sue pagine, dal titolo L’aureola nera: attualità e inattualità della storia, Delcorno rileva anche come la questione sia tutt’altro che chiusa - nonostante, come vedremo nelle prossime immagini, il culto di Simonino sia stato abolito dalla Chiesa - dal momento che negli ultimi anni alcune iniziative pubbliche (una mostra e una tela dedicata al falso martirio del bambino) abbiano suscitato molto scalpore in rete e portato a strascichi giudiziari tutt’ora in pieno svolgimento.   «La difesa della razza», V, n. 6, 20 gennaio 1942. Collocazione: B. XI. 15
image de Gemma Volli, I "processi tridentini" e il culto del beato Simone da Trento (1963)
Gemma Volli, I "processi tridentini" e il culto del beato Simone da Trento (1963)
Abbiamo in precedenza accennato al fatto che il culto di Simonino si impose per volere del popolo, sollecitato da molte pubblicazioni e da una vera e propria campagna propagandistica. Ottenne poi il riconoscimento ufficiale della Chiesa. Oggi il culto è stato invece abolito e la cappella a lui dedicata è diventata un’aula, dal 2018 di proprietà del FAI (si veda Irene Argentero, La cappella diventa un’aula. Su una brutta pagina di storia, quella del Simonino, la Chiesa di Trento ha fatto coraggiosamente luce). L’abolizione del culto di Simonino si verifica nel 1965, anche grazie all’impegno attivo e alle ricerche compiute da Gemma Volli, docente presso l’Università di Bologna, che nel 1963 aveva pubblicato lo studio che qui vediamo, fondamentale nel fare luce sugli eventi del 1475 e sui processi degli anni successivi.   Gemma Volli, I "processi tridentini" e il culto del beato Simone da Trento, Firenze, La Nuova Italia, [1963?]. Collocazione: 1. ST.SACRA VITE SANTI 14, 001
image de Gemma Volli, Il caso Mortara (1960)
Gemma Volli, Il caso Mortara (1960)
Qualche anno prima dello studio su Simonino, Gemma Volli aveva pubblicato un altro testo importante per fare luce su un altro caso che coinvolgeva un bambino. Il piccolo Edgardo Mortara, ebreo bolognese di 6 anni, venne rapito da esponenti della Chiesa nel 1860 perché una balia lo aveva battezzato segretamente. Ne nacquero polemiche e contrasti che ebbero un’eco mondiale. La vicenda di Edgardo, cresciuto in Vaticano e diventato poi sacerdote col nome di Pio Maria, ha ottenuto recentemente grande attenzione in seguito all’uscita del film Rapito di Marco Bellocchio. In quell’occasione la Biblioteca dell’Archiginnasio ha organizzato una mostra per raccontare questa vicenda attraverso i documenti delle proprie collezioni. Il titolo della mostra era Il caso Mortara e vi invitiamo a consultarne la versione online.   Gemma Volli, Il caso Mortara nel primo centenario, Roma, "La rassegna mensile di Israel", 1960. Collocazione: 32. F. 738   L’opuscolo è stato ripubblicato di recente con un sottotitolo leggermente diverso e una introduzione di Ugo Volli: Gemma Volli, Il caso Mortara. Il bambino rapito da Pio IX, introduzione di Ugo Volli, Firenze, Giuntina, 2016. Collocazione: MISC. A. 5348  
image de Ariel Toaff, Pasque di sangue (2007)
Ariel Toaff, Pasque di sangue (2007)
Chiudiamo questa lunga sezione dedicata a Simonino e, più in generale, all’accusa del sangue, trattando un caso molto controverso, non per prendere posizione sulle molte e complesse polemiche che suscitò e neanche per mostrare come questi temi sollevino tutt’oggi emozioni e sentimenti estremi che si riverberano a livello sociale. Di questo abbiamo dimostrazione quotidiana nella cronaca. Quello che invece interessa, in relazione alla narrazione di Eco, è proprio capire la complessità sociale e comunicativa in cui si può inserire un documento che tratta tematiche controverse e come i diversi attori che si trovano a creare, diffondere, parlare di quel documento possono influire sulla sua ricezione. Il caso esplose a inizio febbraio del 2007, quando nelle librerie uscì il libro Pasque di sangue di Ariel Toaff, docente ebreo di un’università israeliana ma con stretti legami con il nostro paese (il volume infatti esce in prima istanza in Italia per la casa editrice bolognese il Mulino). Lo studio di Toaff sostiene che, a livello ipotetico, non si può escludere che effettivamente nei secoli passati si siano verificati casi di sacrifici rituali compiuti da ebrei su bambini cristiani. Il caso Simonino riceve naturalmente grande attenzione, insieme ad altri esempi. Nel giro di pochi giorni, dopo alcune recensioni positive, vengono pubblicati su quotidiani e periodici di grande diffusione articoli che criticano il volume di Toaff, accusato di avere trattato un tema così complicato senza il giusto e necessario rigore scientifico. Le recensioni sono spesso a firma dei più importanti storici italiani, la maggior parte dei quali condanna, con toni più o meno aspri, il lavoro di Toaff. Il caso poi si allarga ad altri paesi e naturalmente la discussione si sposta anche in TV e sulla rete, su siti e blog in cui i toni si accendono ulteriormente. Scendono anche in campo alcune associazioni ebraiche che fanno pressione perché il libro venga ritirato dal commercio. Dopo meno di un mese dall’uscita nelle librerie, lo stesso Toaff cede a queste pressioni e chiede alla casa editrice di ritirare il libro dal commercio, preannunciandone una nuova edizione contenente maggiori informazioni sulle metodologie di ricerca storica. Questa seconda edizione esce l’anno successivo e la vediamo nella prossima immagine.   Ariel Toaff, Pasque di sangue. Ebrei d'Europa e omicidi rituali, Bologna, Il mulino, [2007]. Collocazione: ARPE-BO B. 
image de Ariel Toaff, Pasque di sangue (2008)
Ariel Toaff, Pasque di sangue (2008)
In una breve premessa a questa nuova edizione Toaff afferma di avere modificato il testo senza cambiarne le ipotesi di fondo, ma esplicitando meglio alcuni passaggi, in particolare per chiarire quelle che sono supposizioni possibili ma non certe e quelli che invece sono fatti pienamente documentabili. Infine spiega di avere aggiunto nuovo materiale relativo al caso di Trento (Appendice: L’imbarazzante processo al prete Paolo da Novara (Trento 1476), p. 233-236) e soprattutto una corposa postfazione intitolata Processi e metodologia storica. In difesa di Pasque di sangue (p. 363-398) per rispondere «alle critiche di metodo, di forma e di sostanza, talvolta aspre e a mio avviso ingiustificate, rivoltemi da alcuni studiosi dopo la lettura del mio libro» (p. 5-6). Inoltre, ma questo lo aggiungiamo noi, rispetto alla prima edizione viene modificata anche la copertina, scegliendo un’immagine decisamente più neutra e meno esplicita. In questa seconda veste il libro torna in libreria dove rimane senza ulteriori problemi.   Ariel Toaff, Pasque di sangue. Ebrei d'Europa e omicidi rituali, 2. ed., Bologna, Il mulino, [2008]. Collocazione: ARPE-BO B. 224  
image de Franco Cardini, Il  caso Ariel Toaff  (2007)
Franco Cardini, Il caso Ariel Toaff (2007)
Per ricostruire le polemiche suscitate dalla prima edizione di Pasque di sangue abbiamo un documento eccezionale, grazie al lavoro di Franco Cardini che a fine marzo 2007 ha concluso la scrittura di un libretto - pubblicato immediatamente dopo - dal titolo Il “Caso Ariel Toaff”, in cui si elencano praticamente tutte le recensioni uscite in quel convulso febbraio, analizzandone pregi, difetti, esagerazioni, riflessioni. Andando oltre il singolo caso, l’interesse dell’operazione messa in campo da Cardini sta proprio nell’avere evidenziato come un lavoro storico di taglio accademico possa generare sentimenti molto forti, contraddizioni e esagerate reazioni una volta immesso in un flusso comunicativo di più ampio respiro rispetto a quello dell’accademia. Soprattutto se, in maniera spesso pretestuosa e poco giustificata, si presta ad essere letto in relazione a fatti di cronaca e tensioni socio-politiche di grande attualità. E se espone, senza chiarirlo in maniera precisa, fatti solamente ipotetici e non pienamente documentabili. Questo, fatte le dovute proporzioni e precisazioni, è uno dei temi di fondo de Il cimitero di Praga. Lo stesso Eco partecipò al dibattito sul “caso Toaff” con una Bustina di Minerva dal titolo Mangiar bambini, pubblicata su «L’Espresso» del 22 febbraio 2007 (ma, precisa Cardini visto che in una vicenda consumatasi in maniera così veloce anche i giorni contano, «il numero relativo della rivista [...] porta la data della sua scadenza, ma era in edicola la settimana prima: lo abbiamo quindi letto a partire dal 16 febbraio» (p. 92 nota 63). Il lavoro di Cardini critica anche la comunità accademica, colpevole di non avere reagito, a suo parere, con la necessaria professionalità e scientificità. Cardini infatti lamenta il fatto che il libro di Toaff sia stato semplicemente recensito su mezzi di comunicazione di grande diffusione, spesso dopo una lettura affrettata, ma non analizzato con i corretti strumenti della metodologia della ricerca storica. La lacuna verrà almeno in parte colmata qualche mese dopo dall’articolo di Giovanni Miccoli «Pasque di sangue». La discussa ricerca di Ariel Toaff («Studi storici», XLVIII, 2007, n. 2, p. 323-339). Invitando a leggere il libro per approfondire meglio quanto successo nel febbraio-marzo 2007, chiudiamo con un’ultima breve annotazione. Cardini dice che costringere Toaff a ritirare il libro dal commercio è stata una sconfitta anche per «i “vincitori”, perché vincere facendo sparire dalle biblioteche (e riapparire al mercato nero librario e in infinite forme di samizdat) un libro costato anni di ricerche [...] non è una vittoria della quale ci si possa vantare» (p. 76). In realtà il timore che la prima edizione di Pasque di sangue diventasse una rarità bibliografica - ai tempi si scatenò una vera e propria caccia al libro (ivi, p. 83 nota 17) - oggi sembra scongiurato se è vero che solamente in Archiginnasio ne sono presenti tre copie e diverse decine sono catalogate nelle biblioteche italiane. Nella Biblioteca Universitaria di Bologna è conservata anche la copia posseduta da Umberto Eco, che presenta, come recitano le note che descrivono il volume sul catalogo, «dedica autografa di Umberto Pregliasco a Umberto Eco, non datata, "A Umberto Eco, per la libertà di cultura, in qualsiasi regime, o religione questa debba venire a mancare. Omonimamente suo Umberto Pregliasco"; orecchie ang. sup. pp. 59, 245, 251, 278, frequenti sottolineature a penna, segni di attenzione sul margine sx/dx ed evidenziazioni di paragrafo, postilla manoscritta di Umberto Eco pp. 22, 129, 174, 175, 178, 197, disegni sulla terza di copertina».   Franco Cardini, Il “caso Ariel Toaff”. Una riconsiderazione, Milano, Medusa, [2007]. Collocazione: EVANGELIST B. 3466
image de Il feuilleton
Il feuilleton
Le «delizie del feuilleton» (p. 80) compaiono presto nel romanzo di Eco. I romanzi che escono a puntate sui periodici sono infatti la lettura preferita - e segreta, il nonno non li ama - di Simone Simonini, fin da ragazzo. La passione nasce su sollecitazione del padre che invece, da bravo carbonaro rivoluzionario, ama gli scrittori come Sue e Dumas, che «avevano denunciato i mali della società» ma a metà Ottocento rischiano di essere messi a tacere da una tassa sul feuilleton decisa dal governo (p. 97). Eco mostra la nascita di una industria culturale che ha nelle pubblicazioni periodiche e nei romanzi a puntate un traino fondamentale, anche perché si tratta di un prodotto capace di adattarsi al mutamento dei gusti e della produzione editoriale. Quando si iniziano a pubblicare le puntate dei romanzi sui quotidiani - e quindi necessariamente queste si abbreviano - il guadagno economico non diminuisce perché, per esempio, le pagine uscite durante la settimana possono «essere ripubblicat[e] su giornali domenicali» (Angela Bianchini, La luce a gas e il feuilleton: due invenzioni dell’Ottocento, p. 192). Si vedano per esempio i volumi pubblicati dal 1841 al 1843 col significativo titolo L’Écho des feuilletons. La prefazione spiega che nel volume del 1841 i lettori potranno trovare racconti, articoli, testi di cronaca già comparsi sui periodici, che questi sono già stati ripubblicati nelle 12 dispense annuali dell’Écho e che ora quella stesse dispense vengono raccolte in volume. Si aggiunga, lo si può leggere nella prefazione all’Écho del 1843, che anche le incisioni che accompagnano il testo (di cui qui vediamo un esempio collocato nell’antiporta del primo volume) possono essere acquistate in una serie separata. Testi e immagini quindi vengono sfruttati più di una volta, in varie forme, per approfittare fino in fondo del loro potenziale economico. Lo stesso protagonista del romanzo di Eco, quando nella seconda parte inizia la collaborazione con Léo Taxil, mette in piedi una vera e propria fabbrica di bestsellers.   L'Écho des feuilletons. Recueil de nouvelles, contes, légendes, anecdotes, épisodes, etc. Extraits de la presse contemporaine, 3 vol., Parigi, chez les editeurs, 1841-1843. Collocazione: 9. Z. I. 23-25
image de Eugène Sue, Le juif errant (1844-1845)
Eugène Sue, Le juif errant (1844-1845)
Le juif errant di Eugène Sue è il romanzo che infiamma la passione per il feuilleton nel giovane Simone, che lo legge in fascicoli arrivati dalla Francia nel 1844-1845. Il frontespizio che qui vediamo, di una edizione belga del 1844, dimostra che i diversi fascicoli vengono raccolti in volume praticamente in tempo reale e anche fuori dalla Francia. Alla fine questa edizione conterà cinque volumi. Eco si occupa del romanzo popolare in uno dei suoi saggi più conosciuti, Il superuomo di massa, pubblicato prima nel 1976 poi, in forma accresciuta e definitiva, nel 1978. Uno dei capitoli è dedicato a Eugène Sue: il socialismo e la consolazione.   Eugène Sue, Le juif errant, 5 vol., Bruxelles, Meline, Cans et Compagnie, 1844-1845. Collocazione: 9. mm. III. 15-19
image de Eugène Sue, Le Juif errant (1850) - I gesuiti
Eugène Sue, Le Juif errant (1850) - I gesuiti
Eco sembra volere dare a Il cimitero di Praga una struttura tipografica che ricordi il feuilleton, a partire dall’inserimento di illustrazioni con didascalie che riportano parte del testo. Queste immagini sono tutte tratte da pubblicazioni precedenti, anche se Eco non dà informazioni sulla loro provenienza. È facile però identificarne alcune come provenienti da una bella edizione illustrata di Le juif errant pubblicata nel 1850 all’interno delle Oeuvres illustrées d’Eugène Sue. Questa promenade des jésuites si trova nel capitolo Chi sono? (p. 27), quando anche i gesuiti sono oggetto degli strali del protagonista. La didascalia che accompagna l’immmagine nel romanzo di Eco è: «...I gesuiti sono massoni vestiti da donna... (p. 20)».   Eugène Sue, Le juif errant, in Idem, Oeuvres illustrées d’Eugène Sue. 200 dessins par MM. Gavarni, J.A. Beaucé etc. etc. Vol. 3,  Parigi, Imprimerie Schneider, 1850, p. 1-344. Collocazione: 10. UU. III. 12
image de Eugène Sue, Le Juif errant (1850) - Samuël
Eugène Sue, Le Juif errant (1850) - Samuël
Samuël, personaggio de L’ebreo errante, diventa in Il cimitero di Praga (p. 72) l’immagine di Mordechai, il vecchio ebreo di origine siriana conosciuto da nonno Simonini in gioventù e che spaventa il giovane Simone. Questa la didascalia che accompagna l’illustrazione: «...quasi sentendo per la scaletta di legno i passi del terribile vecchio che viene a prendermi per trascinarmi nel suo infernale abitacolo, a farmi mangiare pani azzimi impastati col sangue dei martiri infanti... (p. 73)».   Eugène Sue, Le juif errant, in Idem, Oeuvres illustrées d’Eugène Sue. 200 dessins par MM. Gavarni, J.A. Beaucé etc. etc. Vol. 3,  Parigi, Imprimerie Schneider, 1850, p. 1-344. Collocazione: 10. UU. III. 12
image de Eugène Sue, Le Juif errant (1850) - M. Hardy
Eugène Sue, Le Juif errant (1850) - M. Hardy
Un’altra illustrazione tratta dall’opera di Sue. Eco (p. 319) se ne serve per rappresentare Maurice Joly che pensa al suicidio: «...Viene un momento in cui qualcosa si spezza dentro, e non si ha più né energia né volontà. Dicono che bisogna vivere, ma vivere è un problema che alla lunga conduce al suicidio... (p. 317)». Proponiamo qui una più ampia selezione di immagini dalla bella edizione dell’opera di Sue nella loro composizione tipografica originaria.   Eugène Sue, Le juif errant, in Idem, Oeuvres illustrées d’Eugène Sue. 200 dessins par MM. Gavarni, J.A. Beaucé etc. etc. Vol. 3,  Parigi, Imprimerie Schneider, 1850, p. 1-344. Collocazione: 10. UU. III. 12
image de Luigi Forti, L'ebreo errante (1850)
Luigi Forti, L'ebreo errante (1850)
La popolarità dei feuilletons è tale che pochi anni dopo la loro pubblicazione possono essere adattati a diverse forme artistiche (offrendo così anche nuove forme di guadagno). Vediamo qui il frontespizio dell’adattamento teatrale in italiano del romanzo di Sue, datato 1850.   L'ebreo errante. Dramma in sei atti e un prologo, riduzione dal romanzo di Eugenio Sue dell'attore Luigi Forti, Milano, Placido Maria Visaj, 1850. Collocazione: CdF MISCELL. A L op. 7
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Alexandre Dumas - Ritratto
Il protagonista Simone Simonini arriva a “costruire” i Protocolli dopo un lungo percorso di perfezionamento dell’arte della falsificazione di documenti. Eco ne ripercorre le tappe basandosi soprattutto sul libro di Cohn Licenza per un genocidio ma naturalmente prendendosi le libertà di un romanziere. Fra le critiche ricevute dal romanzo c’è quella di avere dato credito a questa «pista francese» che per alcuni - sostenitori della teoria per cui se anche i Protocolli sono falsi quello che dicono è veritiero - non è credibile. Si veda per esempio I protocolli del Savio di Alessandria. Umberto Eco nel romanzesco mondo dei Savi di Sion il cui autore, Gianluca Casseri, ci sembra però prendere lo stesso granchio del già citato Mattogno in L’Eco di Israele: chiede cioè a un romanzo caratteristiche di verità e verificabilità che possono essere proprie solamente di un saggio storico e non di un testo di fiction. Lo scrittore si prende il merito di avere aggiunto al percorso che porterà ai Protocolli un paio di tappe iniziali, precedenti il libro di Barruel di cui abbiamo già parlato e che è già esso stesso «un libro apparentemente storico che però si legge come un romanzo d’appendice» (Umberto Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, p. 165). E sono due tappe che sconfinano proprio nel mondo del romanzesco e più specificamente del feuilleton:   «Infine: credo di aver contribuito alla scoperta delle origini de “I Protocolli". Ne ho trovato tracce in "I misteri del popolo" di Eugène Sue, e in "Giuseppe Balsamo" di Alexandre Dumas"».   Sono parole con cui Umberto Eco, intervistato da William Goldkorn in Umberto Eco, gli ebrei e i complotti, riprende quanto aveva scritto in Sei passeggiate nei boschi narrativi (p. 167). All’origine del percorso dei Protocolli stanno quindi opere di finzione. Primo fra tutti un romanzo di Alexandre Dumas padre.   [Ritratto di Alexandre Dumas padre] Collocazione: GDS, Collezione dei ritratti, Cartone 20, Fascicolo 64, Carta 1
image de Alexandre Dumas, Joseph Balsamo (1863)
Alexandre Dumas, Joseph Balsamo (1863)
Il romanzo in cui si trova quella che per Eco è la scena primaria della tradizione che porterà ai Protocolli è Joseph Balsamo. Mémoires d’un médecin, di cui vediamo qui la copertina del primo volume di un’edizione datata 1863. La storia di Giuseppe Balsamo, più conosciuto come Cagliostro, si apre con una riunione segreta e misteriosa che si tiene su Le Mont-Tonnerre, titolo del primo capitolo.   Alexandre Dumas, Joseph Balsamo. Mémoires d’un médecin, 5 vol., Parigi, Michel Lévi fréres, 1863. Collocazione: 9. oo. I. 32-36
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Alexandre Dumas, Giuseppe Balsamo
Le illustrazioni sono di fondamentale importanza nel romanzo popolare ottocentesco. Potete leggere le prime pagine di un’edizione italiana del romanzo di Dumas e apprezzare alcune delle immagini che corredano il testo, fornendo l’atmosfera misteriosa e avventurosa che contribuisce creare il mito di una setta segreta che domina il mondo.   Alexandre Dumas, Giuseppe Balsamo. Romanzo storico, Milano, Sonzogno, [19..]. Collocazione: SACCENTI Gd. 703
image de Eugène Sue, I misteri del popolo (1868-1870)
Eugène Sue, I misteri del popolo (1868-1870)
Per il prossimo passo del cammino verso i Protocolli torna in scena Eugène Sue. Les Mystères du peuple, opera più tarda e meno conosciuta de Les Mystères de Paris, rientra in pieno in quel sottogenere feuilletonesco che si occupa di esplorare il sottobosco delle metropoli, i bassifondi in cui le storie criminali si mescolano alle istanze di rivolta sociale e alle richieste di alleviare la vita difficile delle classi sfruttate dal nascente sistema industriale e capitalistico. Un sottogenere che anche in Italia trova terreno fecondo nella seconda metà dell’Ottocento, anche se Collodi confessa di avere intitolato la sua opera I misteri di Firenze solamente per compiacere l’editore che vuole sfruttare il successo commerciale di questa tipologia di pubblicazioni. Il capoluogo toscano infatti non può ospitare nessun mistero, perché è una città così piccola che è impossibile che vi succeda un episodio importante o curioso senza che venga immediatamente conosciuto dalla popolazione (si veda l’antologia L'Italia dei misteri. Storie di vita e malavita nei romanzi d'appendice, a cura di Riccardo Reim). Ne I misteri del popolo si trova la lunga lettera che Simonini utilizza e saccheggia per costruire la sua scena madre della riunione dei capi delle tribù ebraiche nel cimitero di Praga. Si tratta della lettera spedita «da padre Rothaan, generale della Compagnia [di Gesù] (e personaggio storico)» al «malvagio Monsieur Rodin, quintessenza della cospirazione gesuitica [...] replica dei Superiori Sconosciuti di clericale memoria» (Umberto Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, p. 167).  Ne Il cimitero di Praga succede però che, per ben due volte, della lettera si invertono mittente e destinatario.   «C’era così nel libro [I misteri del popolo, n.d.r.] una lunghissima lettera di padre Rodin (che era già apparsa nell’Ebreo errante) al generale dei gesuiti, padre Roothaan, in cui il complotto era esposto per filo e per segno» (p. 119).   E ancora:   «Dunque era evidente che Joly si era ispirato alla stessa fonte a cui si era ispirato lui, e cioè alla lettera di padre Rodin a padre Roothaan ne I misteri del popolo di Sue» (p. 203).   In nessuna edizione de Il cimitero di Praga questi passi sono stati corretti per citare correttamente il romanzo di Sue. Si nota anche che nel passaggio da Sei passeggiate nei boschi narrativi al romanzo, padre Rothaan ha leggermente mutato il cognome in Roothaan, che è la forma corretta per indicare Johannes Philippus Roothaan, generale della Compagnia di Gesù dal 1829.    Eugène Sue, I misteri del popolo. Storia di una famiglia di proletari lungo il corso dei secoli, 5 vol., Milano, presso la Libreria di Dante Alighieri di Enrico Politti, 1868-1870. Collocazione: 9. P. IV. 37-41
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Antonio Bresciani
Uno fra i primi a proporre il feuilleton “alla francese” in Italia è il gesuita padre Antonio Bresciani con il romanzo-fiume L’ebreo di Verona e la sua appendice Della Repubblica Romana. Antonio Bresciani è il modello a cui Eco si ispira per il personaggio di padre Bresciani, anch’egli gesuita, prima istitutore di Simone poi suo ispiratore nella creazione di falsi documenti antimassonici. Sui romanzi del padre gesuita e il loro racconto della Repubblica Romana del 1848 - evento che vede direttamente coinvolto il padre carbonaro di Simone - si veda Matteo Bresciani, La rivoluzione del Quarantotto nei romanzi di Antonio Bresciani.   Antonio Bresciani, L'ebreo di Verona. Scene storiche italiane nella meta del secolo XIX, 4 vol., Bologna, Tip. dell'Ancora, 1850-1852. Collocazione: RABBI E. 393 / 1-4   Antonio Bresciani, Della Repubblica Romana. Appendice dell'Ebreo di Verona, 2 vol., Milano, Tipografia Arcivescovile Ditta Boniardi-Pogliani di E. Besozzi, 1855. Collocazione: 33. C. 334 / 1-2
image de Alexandre Dumas, I garibaldini (dopo il 1860)
Alexandre Dumas, I garibaldini (dopo il 1860)
«E la Francia, la Francia che diceva? La Francia sembrava osservare con cautela, ma un francese, ormai più famoso di Garibaldi, Alexandre Dumas, il grande romanziere, con una sua nave privata, l’Emma, correva a unirsi ai liberatori, anche lui con denaro e armi» (p. 129).   Alexandre Dumas, uno degli eroi del giovane Simone appassionato lettore di feuilletons, esaltato dall’impresa di Garibaldi, decide di andare in suo aiuto. Lo scrittore diventa quindi anche personaggio de Il cimitero di Praga. Il protagonista, inviato dai servizi segreti piemontesi, si unisce allo scrittore nel viaggio verso la Sicilia, dando inizio alla sua carriera nello spionaggio. Si apre così un lungo segmento di testo dedicato alla spedizione dei Mille e alle sue conseguenze, forse le pagine di maggiore dinamismo dell’intero romanzo, quelle in cui il modello del feuilleton viene seguito più da vicino. Dumas ha lasciato testimonianza della sua avventura nell’Italia meridionale, protrattasi ben oltre l’impresa garibaldina, in diversi testi, fra cui il volume che qui vediamo e dal quale proponiamo la lettura della pagina in cui l’Emma salpa da Genova. Su quell’imbarcazione Eco fa salire anche Simonini, insieme al quale andremo per un po’ al seguito dell’eroe dei due mondi (con il quale però non avrà mai a che fare direttamente). Sulla permanenza di Dumas nell’Italia meridionale, durante la quale manifestò particolare interesse per il fenomeno del brigantaggio, si veda Riccardo Longo, Garibaldi e Dumas, la spedizione dei Mille e il brigantaggio.   Alexandre Dumas, I garibaldini. Scene, impressioni e ricordi della spedizione dei Mille, Milano, Libreria editrice nazionale, [dopo il 1860]. Collocazione: 5. d. VI. 28
image de Giuseppe Cesare Abba, Noterelle d'uno dei Mille (1880)
Giuseppe Cesare Abba, Noterelle d'uno dei Mille (1880)
Fra i molti personaggi che il capitano Simonini incontra nel settimo capitolo, intitolato Coi Mille, ci sono due dei più importanti cronisti della spedizione garibaldina: Giuseppe Cesare Abba e Giuseppe Bandi. Eco, con un gioco citazionista tipico della sua narrativa, rende gli autori personaggi del romanzo e fa raccontare dalla loro viva voce alcuni degli episodi che anni dopo inseriranno nelle loro opere. Si veda per esempio l’incontro con le monacelle, che in Il cimitero di Praga si trova a p. 149 e riprende il dialogo raccontato da Abba in una pagina delle Noterelle d’uno dei Mille pubblicate a Bologna nel 1880, prima versione della sua opera che poi uscirà in edizioni sempre più ricche con il titolo Da quarto al Volturno. Noterelle d’uno dei Mille. Ringraziamo Vincent Mobilia dell’Università di Catania per le informazioni forniteci sull’opera di Abba e la presenza in essa di alcuni episodi raccontati da Eco per bocca dell’autore stesso.   Giuseppe Cesare Abba, Noterelle d'uno dei mille. Edite dopo vent'anni, Bologna, Nicola Zanichelli, 1880. Collocazione: BIANCHI A. 2011
image de Giuseppe Bandi, I Mille (1903)
Giuseppe Bandi, I Mille (1903)
Giuseppe Bandi, I Mille. Da Genova a Capua, Firenze, A. Salani, stampa 1903. Collocazione: VENTURINI A. 2529
image de I sopravvissuti della spedizione dei Mille
I sopravvissuti della spedizione dei Mille
Per cinque anni, dal 1904 al 1908, Gian Maria Damiani, garibaldino della prima ora, pubblica l’Elenco dei superstiti dei Mille. Un’iniziativa che, come si legge nella prima pagina dell’ultimo elenco, vuole ricordare la memoria di coloro che fecero parte del primo nucleo di garibaldini partiti da Quarto, distinguendoli dalle altre migliaia che poi si aggiunsero nei mesi successivi. Damiani visse a lungo a Bologna e oggi una lapide lo ricorda in Largo Trombetti. Colpito da una malattia, si suicidò nel 1908. Nell’Elenco ufficiale dei Mille sbarcati a Marsala condotti dal prode Generale Giuseppe Garibaldi, che comprende 1084 nomi, Damiani occupa il posto numero 356. Potete consultare online gli ultimi due elenchi, aggiornati al 30 giugno 1907 (quando i superstiti sono 219) e 30 giugno 1908 (200 superstiti). Gli opuscoli ricordano anche i nomi di chi è deceduto nell’ultimo anno.   Gian Maria Damiani, Elenco dei superstiti dei Mille sbarcati a Marsala il dì 11 maggio 1860, viventi a tutto il 30 giugno 1904, [Bologna, s. n., 1904]. Collocazione: Casa Carducci Buste 350. 23   Gian Maria Damiani, Elenco dei superstiti dei Mille sbarcati a Marsala il dì 11 maggio 1860, viventi a tutto il 30 giugno 1905, [Bologna, s. n., 1905]. Collocazione: Casa Carducci Buste 210. 23   Gian Maria Damiani, Elenco dei superstiti dei Mille sbarcati a Marsala il dì 11 maggio 1860, viventi a tutto il 30 giugno 1906, [Bologna, s. n., 1906]. Collocazione: Casa Carducci Buste 386. 75   Gian Maria Damiani, Elenco dei superstiti dei Mille sbarcati a Marsala il dì 11 maggio 1860, viventi a tutto il 30 giugno 1907, [S.l., s. n., 1907]. Collocazione: SORBELLI Caps. s Opusc. 29   Gian Maria Damiani, Elenco dei superstiti dei Mille sbarcati a Marsala il dì 11 maggio 1860, viventi a tutto il 30 giugno 1908, [S.l., s. n., 1908]. Collocazione: SORBELLI Caps. 29 Opusc. 31
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Il garibaldino Giulio Lavezzari
Nell’archivio dell’Archiginnasio si trova un provino fotografico che ritrae un garibaldino in perfetta divisa. Si tratta di Giulio Lavezzari, come ci informano le note manoscritte che si trovano sul foglio sul quale è incollato il provino. Lavezzari non compare però nell’elenco ufficiale dei Mille visto nell’immagine precedente, quindi non faceva parte del nucleo originario dell’esercito garibaldino, quello celebrato da Damiani nei suoi elenchi dei superstiti.   Garibaldino Giulio Lavezzari, gelatina a sviluppo, b/n, 38x30 mm Collocazione: GDS, Fotografie Bologna, n. 1566/100
image de Ippolito Nievo, Gli amori garibaldini (1860)
Ippolito Nievo, Gli amori garibaldini (1860)
Il capitano Simonini avvicina Ippolito Nievo per carpirgli i segreti dell’amministrazione della spedizione dei Mille, su incarico dei servizi segreti piemontesi che vogliono controllare l’avventura garibaldina. I due si frequentano a lungo, entrando in confidenza. Nievo fa anche leggere a Simonini «un volumetto che gli era da poco arrivato, Amori garibaldini, stampato nel Nord senza che lui avesse potuto rivederne le bozze». Il commento del capitano non è per niente benevolo: «Ho scorso una di queste sue composizioni, dedicata proprio a Garibaldi, e mi sono convinto che un po’ bestia il Nievo deve essere» (p. 161).   Ippolito Nievo, Gli amori garibaldini, Milano, tipografia di P. Agnelli, 1860. Collocazione: Casa Carducci Buste 200. 16
image de Ippolito Nievo, Gli amori garibaldini (1911)
Ippolito Nievo, Gli amori garibaldini (1911)
Riproduzione facsimilare del volume di versi di Nievo, datata 1911, in cui vediamo anche un ritratto dell’autore.   Ippolito Nievo, Amori garibaldini, Como, Riccardo Gagliardi, 1911. Collocazione: BIANCHI K. 380
image de Spartaco Muratti, La morte di Ippolito Nievo (1907)
Spartaco Muratti, La morte di Ippolito Nievo (1907)
Nonostante la confidenza - potremmo dire l’amicizia - instaurata con Nievo, Simonini non esita a organizzare l’esplosione che farà affondare la nave con cui lo scrittore sta rientrando in patria. Uno dei tanto episodi storici controversi - non si è mai chiarito se il naufragio sia stato un incidente o un attentato - dietro il quale Eco si diverte a mettere il suo protagonista, che seminerà sulla sua strada un buon numero di cadaveri. Nel 1907 Spartaco Muratti dedica questo componimento poetico (che può essere letto integralmente online) alla morte di Nievo.   Spartaco Muratti, La morte di Ippolito Nievo, Udine, Paolo Gambierasi stampa 1907. Collocazione: 8. Poesie varie. Cart. 32, n. 2
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Nino Bixio - Ritratto
«Ho rivisto Nino Bixio mentre passava in città a cavallo. A quanto si dice, il vero capo militare della spedizione è lui. Garibaldi si distrae, pensa sempre a cosa farà domani, è bravo negli assalti e trascina chi gli viene dietro, ma Bixio pensa al presente e mette in fila le truppe. Mentre passavo ho sentito un garibaldino vicino a me che diceva al suo camerata: “Guarda che occhio, fulmina dappertutto. Il suo profilo taglia come una sciabolata. Bixio! Il nome stesso dà l’idea di un guizzo di folgore”» (p. 142).   Eco dipinge Bixio a tinte fosche, come il più crudele degli ufficiali garibaldini. Simonini sfrutta l’odio che la popolazione siciliana prova verso di lui, convincendo un sempliciotto soprannominato Bronte - proprio perché scampato ai massacri perpetrati da Bixio nella cittadina siciliana - a eseguire l’attentato in cui morirà Nievo.   [Ritratto di Nino Bixio] Collocazione: GDS, Collezione dei ritratti, Cartone 7, Fascicolo 85, Carta 1
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Felice Orsini - Ritratto
«Tutti sapevano la storia di Orsini. Patriota italiano, si era recato in Inghilterra e si era fatto preparare sei bombe caricate con fulminato di mercurio. La sera del 14 gennaio 1858, mentre Napoleone si recava a teatro, Orsini e due suoi compagni avevano lanciato tre bombe contro la carrozza dell’imperatore, ma con scarsi risultati: avevano ferito centocinquantasette persone, e otto ne erano poi morte, ma i sovrani erano rimasti incolumi. Prima di salire sul patibolo, Orsini aveva scritto all’imperatore una lettera strappalacrime, invitandolo a difendere l’unità d’Italia, e molti dicevano che questa lettera aveva avuto qualche influenza sulle successive decisioni di Napoleone III» (p. 206).   [Ritratto di Felice Orsini] Collocazione: GDS, Collezione dei ritratti, Cartone 43, Fascicolo 57, Carta 1      
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Le prigioni di Parigi
Il racconto dell’attentato organizzato da Felice Orsini compare nel romanzo quando Simonini è stato mandato segretamente in carcere a Parigi dai servizi segreti francesi per avvicinare Maurice Joly, autore del volume Dialogue aux enfers entre Machiavel et Montesquieu, ou La politique de Machiavel au XIX siècle par un contemporain, che diventerà per il protagonista una nuova fonte a cui attingere per costruire la scena madre della riunione nel cimitero di Praga. Oltre allo scrittore, Simonini in prigione incontra l’esperto di esplosivi Gaviali che - a suo dire - avrebbe dovuto preparare gli esplosivi per Orsini, che però all’ultimo momento aveva preferito rivolgersi agli inglesi «Perché si sa, gli stranieri sono sempre più bravi di noi» (p. 206). Nell’immagine un carcerato della prigione di Sainte-Pélagie, la stessa in cui viene rinchiuso Simonini.   Adolphe Guillot, Paris qui souffre. Les prisons de Paris, dessins d’après nature par Montégut, Parigi, E. Dentu, 1890. Collocazione: 5. o**. VI. 15  
image de Le prigioni di Parigi
Le prigioni di Parigi
Sainte-Pélagie. Cour des détenus politiques Potete leggere qui la descrizione di questa prigione tratta dal libro sotto citato.   Adolphe Guillot, Paris qui souffre. Les prisons de Paris, dessins d’après nature par Montégut, Parigi, E. Dentu, 1890. Collocazione: 5. o**. VI. 15
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L'Esposizione Universale del 1867
«La luce elettrica... In quegli anni gli sciocchi si sentivano attorniati dal futuro. Era stato aperto un canale in Egitto che univa il Mediterraneo al mar Rosso per cui per andare in Asia non occorreva più fare il giro dell’Africa (e così si sarebbero danneggiate tante oneste compagnie di navigazione), era stata inaugurata una esposizione universale le cui architetture facevano intuire che quello che aveva fatto Haussmann per rovinare Parigi era solo un inizio, gli americani stavano terminando una ferrovia che avrebbe traversato il loro continente da oriente a occidente, e dato che avevano appena dato la libertà agli schiavi negri ecco che questa plebaglia avrebbe invaso tutta la nazione facendola diventare una palude di sanguemisti, peggio che gli ebrei» (p. 279-280).   Abbiamo già visto parlando di un’altra Esposizione parigina, quella del 1889, i sentimenti nostalgici che il capitano Simonini nutre per la Parigi pre-Haussmann, la cui scomparsa va completandosi nella seconda metà del XIX secolo. Sorprendono ancora meno le invettive razziste. Nell’immagine a fianco (qui visibile a una migliore definizione) è rappresentato il sito principale dell’Esposizione del 1867.   L'esposizione universale del 1867 illustrata. Pubblicazione internazionale autorizzata dalla commissione imperiale dell'esposizione, 3 vol., Milano [etc.], E. Sonzogno, 1867. Collocazione: 34. E. 248 / 1-3
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Del movimento artistico in Bologna dal 1855 al 1866
In vista dell’Esposizione Universale del 1867, il Comitato ordinatore per le arti belle sollecita le Sottocommissioni e Giunte presso le RR. Accademie di arti belle e gli Istituti artistici del Regno d’Italia a indicare le espressioni artistiche migliori del territorio di loro competenza, per potere selezionare quelle che poi rappresenteranno il paese a Parigi. Per Bologna, come già successo per l’esposizione londinese del 1862, ad assumersi l’incarico di selezionare e segnalare le «locali notizie tutte atte a mettere in evidenza le forze varie che da ogni lato convennero a mantener vivo il sacro fuoco dell'arte, nell'ultimo decennio» (Del movimento artistico in Bologna dal 1855 al 1866, p. 8) è Cesare Masini. Vediamo qui la copertina del volumetto che raccoglie il suo lavoro.   Del movimento artistico in Bologna dal 1855 al 1866, per Cesare Masini in occasione della Esposizione universale di Parigi del 1867, Bologna, Regia Tipografia, 1867. Collocazione: MISC. B. 1247
image de Il canale di Suez all'Esposizione universale del 1867
Il canale di Suez all'Esposizione universale del 1867
Il canale di Suez - che Simonini cita nel brano letto poco fa - fu inaugurato nel 1869, ma già nell’Esposizione del 1867 l’istmo artificiale viene celebrato come una delle meraviglie del progresso, tecnico ed economico, in via di realizzazione. L’immagine che qui vediamo è tratta da una delle due dispense (n. 15 e 16) che il periodico ufficiale dell’Esposizione, nella sua versione italiana, dedica al progetto del canale.    L'esposizione universale del 1867 illustrata. Pubblicazione internazionale autorizzata dalla commissione imperiale dell'esposizione, 3 vol., Milano [etc.], E. Sonzogno, 1867. Collocazione: 34. E. 248 / 1-3
image de Il cannone Krupp all'Esposizione universale del 1867
Il cannone Krupp all'Esposizione universale del 1867
«All’esposizione universale Alfred Krupp aveva mostrato un cannone di dimensioni mai viste, cinquanta tonnellate, una carica di polvere di centro libbre a proiettile. L’imperatore ne era stato così affascinato da conferire a Krupp la Legion d’Onore, ma quando Krupp gli aveva mandato un listino delle sue armi, che era pronto a vendere a ogni stato europeo, gli alti comandi francesi, che avevano i loro armatori preferiti, avevano convinto l’imperatore a declinare. Invece, evidentemente, il re di Prussia aveva acquistato» (p. 280-281).   Il «cannone mostruoso, rappresentato dal nostro disegno» introduce nel romanzo le pagine dedicate alla guerra franco-prussiana e, come conseguenza di quella, alla Comune parigina. Ma sono anche un’anticipazione di uno dei molti episodi in cui si trova coinvolto Simonini, uno di quelli più discussi e conosciuti anche dall’opinione pubblica e popolare. Lo vediamo nella prossima immagine.   L'esposizione universale del 1867 illustrata. Pubblicazione internazionale autorizzata dalla commissione imperiale dell'esposizione, 3 vol., Milano [etc.], E. Sonzogno, 1867. Collocazione: 34. E. 248 / 1-3
image de Alfred Dreyfus - Ritratto
Alfred Dreyfus - Ritratto
Succede quasi 30 anni dopo l’Esposizione del 1867, ma l’accusa rivolta ad Alfred Dreyfus è proprio quella di avere voluto passare ai prussiani i segreti di costruzione di un cannone. Nel romanzo naturalmente la prova decisiva per incastrarlo viene costruita grazie all’abilità di Simonini nel falsificare la sua grafia. O meglio, la grafia che gli viene detto essere di Dreyfus, perché su questo episodio la trama si aggroviglia come in un buon libro di spionaggio.   [Ritratto di Alfred Dreyfus], stampa fotografica. Collocazione: GDS, Collezione dei ritratti, Cartone 20, Fascicolo 53, Carta 1 Qui è possibile vedere il retro della cartolina.
image de Maurice Joly, Dialogo agli inferi tra Machiavelli e Montesquieu
Maurice Joly, Dialogo agli inferi tra Machiavelli e Montesquieu
Dopo il libro di Barruel e i feuilletons, una delle fonti fondamentali nello sviluppo del falso complotto creato da Simonini è l’opera di Maurice Joly, che abbiamo già incontrato nella prigione di Sainte-Pélagie. Dialogue aux enfers entre Machiavel & Montesquieu esce nel 1864 e, come il libro di Barruel, viene pubblicato fuori dai confini francesi, a Bruxelles. Joly infatti nel romanzo si trova in carcere proprio perché scoperto «mentre introduceva in Francia copie di questo libro stampato all’estero e lo distribuiva clandestinamente» (p. 201). L’Archiginnasio possiede solamente questa recente traduzione dell’opera, il cui curatore infatti informa che il Dialogo era stato introdotto a Parigi «probabilmente dal Belgio mediante la fitta rete di colporteurs di cui si servivano gli attivi canali della stampa clandestina costretta a sfuggire alla censura napoleonica» (Renzo Repetti, Introduzione, p. 11-24: 11). La prima edizione, consultabile integralmente online, è presente in alcune biblioteche italiane: è quindi sopravvissuto alla censura e al sequestro, a causa del quale nel romanzo Simonini può affermare di possedere «una delle poche copie ancora in circolazione» (p. 210). Che questo testo sia una fonte perfetta e adatta a ogni occasione per costruire fantasie di complotto lo si capisce fin dalla prima riga della Semplice avvertenza che Joly premette ai dialoghi: «Questo libro, per i suoi contenuti, può essere riferito a qualsiasi sistema politico» (Maurice Joly, Dialogo agli inferi tra Machiavelli e Montesquieu, p. 25).   Maurice Joly, Dialogo agli inferi tra Machiavelli e Montesquieu, Genova, ECIG, 1995. Collocaizone: 20. G. 396
image de Osman Bey, Gli ebrei alla conquista del mondo
Osman Bey, Gli ebrei alla conquista del mondo
A Osman Bey è intitolato il capitolo 19 di Il cimitero di Praga. L’autore di La Conquête du monde par les Juifs (1873) è un personaggio misterioso - forse serbo o forse tedesco, usa uno pseudonimo - che è in cerca di «prove precise dei rapporti tra l’Alliance Israélite e la massoneria e [...] dei rapporti tra gli ebrei francesi e i prussiani» (p. 325). A lui Simonini cerca di vendere la propria scena madre del cimitero di Praga, con poco successo. Anche della sua opera l’Archiginnasio non possiede la prima edizione ma una traduzione in italiano pubblicata proprio a Bologna nel 1880 (in una ristampa del 1939).   Osman Bey, Gli ebrei alla conquista del mondo, ristampa dell’ottava ed. pubblicata nel 1880, Bologna, L. Cappelli, 1939. Collocazione: 1-St.Sacra. Miscellanea. 02,57
image de Léo Taxil, Les frères trois points
Léo Taxil, Les frères trois points
Quello con Léo Taxil è forse il sodalizio più duraturo e redditizio instaurato da Simonini, che però si presenta sempre allo scrittore - ex massone falsamente convertitosi a un cristianesimo reazionario - con il travestimento dell’abate Dalla Piccola. Ne nasce una vera e propria industria culturale che mira a vendere più libri possibile, sfruttando scandali, controversie, pregiudizi. E sfruttando anche Diana Vaughan, affetta da problemi psichici ed elevata a misterioso fenomeno da baraccone. Nella prefazione a questo Les frères Trois-Points (qui il frontespizio del primo volume della prima edizione) si vede che l’opera fa parte di un vero e proprio piano editoriale programmato e studiato che ha il titolo complessivo di Revélations complètes sur la Franc-Maçonnerie.   Léo Taxil, Les frères Trois-Points, nouvelle éd., 2 vol., Parigi, Letouzey et Ané, s.d. Collocazione: 9. T. III. 93-94
image de Léo Taxil, Confessions d'un ex-libre-penseur
Léo Taxil, Confessions d'un ex-libre-penseur
Un’altra opera in cui Taxil rinnega il proprio passato di massone. Anche in questo caso si tratta di una prima edizione.   Léo Taxil, Confessions d’un ex-libre-penseur, Parigi, Letouzey et Ané, 1887. Collocazione: 9. T. III. 92    
image de Léo Taxil, I misteri della frammassoneria (1888)
Léo Taxil, I misteri della frammassoneria (1888)
Les mystères de la Franc-Maçonnerie, scrive Eco, è arricchito da «drammatiche illustrazioni di evocazioni sataniche e riti orripilanti» (p. 348), come dimostrato dalla stessa copertina che in Il cimitero di Praga è riprodotta a p. 345. L’immagine di uno dei momenti dell’iniziazione di un fratello massone che qui vediamo (tratta dall’edizione italiana dell’opera di Taxil) è non solo riprodotta nel romanzo di Eco (p. 351) ma anche descritta a parole:   «Poi qualcuno s’impadroniva dell’aspirante, gli faceva fare altre giravolte e, quando quando quello iniziava a provare un senso di vertigine, lo spingeva davanti a un gran paravento, fatto di parecchi strati di carta forte, simile ai tondi attraverso cui saltano i cavalli nei circhi. Al comando di introdurlo nella caverna, il poveretto veniva spinto a tutta forza contro il paravento, le carte si rompevano e quello precipitava su un materasso disposto dall’altro lato» (p. 350).   Abbiamo raccolto (insieme alla prefazione alla traduzione italiana) alcune di queste illustrazioni che hanno anche riflessi nel romanzo di Eco, come per esempio la forte presenza di massoni - e di ebrei, questi tratti si ripetono nelle diverse opere per colpire il nemico del momento - all’interno dell’esercito francese.   I misteri della frammassoneria, svelati da Leo Taxil, traduzione dall'edizione francese del 1888 per Luigi Matteucci unica autorizzata, di proprietà dell'editore Giovanni Fassicomo di Genova con notevoli aggiunte dell'autore, ed altrui, Genova, G. Fassicomo, 1888. Collocazione: 6. RR. V. 51
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Édouard Drumont, La France Juive
Mentre l’abate Dalla Piccola gestisce con Taxil la produzione di bestsellers, Simonini porta avanti altre imprese. La più importante è forse la collaborazione con Édouard Drumont, che di Taxil è avversario dichiarato. Dopo avere letto le «Centinaia di pagine» di questo La France juive, padre Bergamaschi dice a Simonini: «“Ecco uno che evidentemente ne sa più di te”» (p. 400). Sono le parole giuste per spingere il capitano a conoscere l’autore di quest’opera e stabilire con lui il consueto commercio di idee e segreti.   Édouard Drumont, La France Juive. Essai d'histoire contemporaine, 2 vol., Parigi, Marpon & Flammarion, [dopo il 1887]. Collocazione: VENTURINI A. 2159 / 1-2
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Protocolli dei "Savi Anziani" di Sion (1921)
Per citare scherzosamente il «formidabile colpo di scena» con cui si apre «il Manifesto dei comunisti di Marx» (p. 390), potremmo dire che uno spettro si aggira per le pagine di Il cimitero di Praga. E anche per le stanze della casa del suo protagonista, visto che nella seconda metà del romanzo Simonini trova spesso tracce di estranei che lo spiano fin dentro la sua abitazione per scoprire i suoi segreti. È lo spettro del servizio segreto russo in Francia, l’Okhrana, con cui Simonini finirà per collaborare dopo essere entrato in contatto con Rachkovskij, che alla fine del romanzo lo ricatterà per ottenere i documenti ai quali il capitano lavora da anni. Questi «Protocolli Praghesi (così almeno li designavo)» (p. 321) sono l’approdo finale della sua carriera di falsario, il punto più alto di decenni di ritocchi, aggiunte, scoperte e invenzioni. Il suo capolavoro di «maestro del riciclo» (p. 401), come affettuosamente lo definisce padre Bergamaschi. Dal momento in cui lo cede a Rachkovskij, Simonini perde il controllo del suo lavoro che - in un futuro romanzesco che non deve necessariamente coincidere con gli eventi storici - tornerà alla luce proprio in Russia, adeguatamente adattato alle esigenze dell’Okhrana. Siamo finalmente arrivati al testo che, dopo una diffusione limitata in un primo tempo alla sola Russia, negli anni Venti del secolo scorso inizia a diffondersi anche in Europa occidentale (grazie a una traduzione inglese) e a essere definito Protocolli dei Savi Anziani di Sion. In Inghilterra già nel 1920 ne viene assodata la falsità, ma questo non impedisce che i Protocolli continuino a diffondersi in altri paesi e a essere considerati opera autentica. In Italia approdano nel 1921: questa l’edizione pubblicata dalla rivista «La Vita Italiana». Il testo vero e proprio dei Protocolli è corredato da una serie di appendici esplicative, come mostra l’indice. L’opera non ottiene in realtà grande interesse nel nostro paese. Solo 15 anni dopo, lo vediamo nelle prossime immagini, viene rilanciata con successo ben più elevato.   Protocolli dei "Savi Anziani" di Sion. L'Internazionale ebraica, versione italiana con appendice, [a cura di] Sergyei Nilus, Roma, La Vita Italiana, 1921. Collocazione: 34. C. 2473
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I "Protocolli" dei "Savi Anziani" di Sion (1937)
Valentina Pisanty in La difesa della razza. Antologia 1938-1943 ricostruisce la storia dei Protocolli in Italia in un lungo capitolo (p. 291-336) che analizza le varie edizioni uscite nel nostro paese. Dopo quella del 1921 appena vista, l’opera torna di grade attualità nel momento in cui le politiche sulla razza del regime fascista diventano sempre più importanti e discriminanti. La seconda edizione è infatti del 1937. La copertina mette in rilievo anche il numero di copie stampate (e, presumibilmente, vendute). La terza edizione, l’anno successivo, aggiorna in copertina il conto del successo ottenuto. Anche in questo caso vale la pena di scorrere l’indice, in cui spicca l’introduzione a firma Julius Evola.   I “protocolli” dei “Savi Anziani” di Sion, versione italiana [dall'inglese] con appendice e introduzione [di Giulio Cesare Andrea Evola], Roma, La vita italiana, 1937. Collocazione: BUSSOLARI A. 799   I “Protocolli” dei “Savi Anziani” di Sion, versione italiana con appendice e introduzione, 3. ed, Roma, La Vita Italiana, 1938. Collocazione: 1. AA. IV. 52
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I Protocolli su «La difesa della razza»
«La difesa della razza» non può non occuparsi dei Protocolli e della loro diffusione nel nostro paese. Nello schema si evidenzia come questi documenti nascano da un intreccio fra la massoneria e i rappresentanti della comunità ebraica europea. Per realizzarlo i redattori della rivista hanno forse utilizzato una quota di invenzione pari a quella messa da Eco nel suo romanzo, ma in questo caso il risultato è presentato come storicamente veritiero. E molti ci crederanno, va ribadito, perché quando «alcuni marpioni [...] speculano su un pubblico di allocchi», allora come oggi, «Il problema sociale e culturale non è rappresentato dai marpioni, ma dagli allocchi» (Umberto Eco, La forza del falso, in Idem, Sulla letteratura, p. 335). Ma anche se gli allocchi ci saranno sempre, «A queste narrazioni tossiche Eco risponde con la denuncia e con la salda fiducia nella possibilità della ragione» (Stefania Sini, Introduzione. I ganci falsari di Umberto Eco, in Prove di forza del falso. Studi su Umberto Eco, p. VII-XVIII: XVII).   «La difesa della razza», II, n. 19, 5 agosto 1941. Collocazione: B. XI. 15
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Hugo Wast, Oro. Vol. 1: Il kahal (1936)
Vogliamo aggiungere il frontespizio di questa edizione presente in Archiginnasio per testimoniare l’esistenza di opere oggi ormai dimenticate ma che furono di grandissimo successo e quindi ebbero grande influenza nella diffusione di idee antiebraiche negli anni Trenta del Novecento. Si tratta di un romanzo fortemente antisemita dello scrittore argentino Hugo Wast, tradotto in Italia l’anno successivo alla sua pubblicazione originale. Il titolo, Oro, rimanda all’importanza dell’aspetto economico nella questione ebraica. Il primo volume è intitolato Il kahal, un’istituzione tipica delle comunità ebraiche. L’ipotesi dell’esistenza di un kahal mondiale segreto è uno degli elementi che danno corpo al complotto ebraico per il dominio del mondo. Proponiamo la lettura di alcune pagine in cui Wast tratta proprio dei Protocolli e dell’influenza che possono avere sull’economia mondiale.   Hugo Wast, Oro. Vol. 1: Il Kahal, Milano, Istituto di propaganda libraria, stampa 1936. Collocazione: 34. B. 10229 / 1
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Il dottor Froïde su «La difesa della razza»
Il capitano Simonini incontra nel terzo capitolo, Chez Magny, un «mediconzolo» austriaco di nome Sigmund - «è un nome ebreo?», si chiede (p. 49) - e cognome Froïde - «credo si scriva così» (p. 47). Con lui dialoga, a lui fornisce cocaina, delle sue teorie si avvantaggia per gestire la dissociazione di personalità subita in seguito agli eventi raccontati nel capitolo Una notte a messa. Nel 1939 «La difesa della razza» dedica un lungo articolo alla morte di Sigmund Freud, «il giudeo che pretese, anzi volle dare a intendere, di aver creato un edificio dottrinario che servisse d’interpretazione a tutta la vita psichica» (Alfonso Petrucci, Il demone della sessualità. Morte dell’ultimo illusionista, p. 27).   «La difesa della razza», II, n. 24, 20 ottobre 1939. Collocazione: B. XI. 15
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Il cimitero di Praga
«Avrei voluto mettere nella storia anche gli ebrei, come omaggio alla memoria del nonno, ma Sue non ne parlava, e non riuscivo a farli stare insieme con i gesuiti - e poi in quegli anni in Piemonte degli ebrei non importava granché a nessuno. Agli agenti non bisogna sovraccaricare la testa con troppe informazioni, loro vogliono solo idee chiare e semplici, bianco e nero, buoni e cattivi, e il cattivo deve essere uno solo. Però agli ebrei non avevo voluto rinunciare, e li avevo usati per l’ambientazione. Era pur sempre un modo per suggerire a Bianco qualche sospetto nei confronti dei giudei. Mi ero detto che un evento ambientato a Parigi, e ancor peggio a Torino, avrebbe potuto essere controllato. Dovevo riunire i miei gesuiti in un luogo meno raggiungibile anche ai servizi segreti piemontesi, di cui anch’essi avessero solo notizie leggendarie. Mentre i gesuiti, loro, erano dappertutto, polipi del Signore, con le loro mani adunche protese sui paesi protestanti. Chi deve falsificare documenti deve sempre documentarsi, ed ecco perchè frequentavo le biblioteche. Le biblioteche sono affascinanti: talora sembra di stare sotto la pensilina di una stazione ferroviaria e, a consultare dei libri su terre esotiche, si ha l’impressione di viaggiare verso lidi lontani. Così mi era capitato di individuare su un libro alcune belle incisioni del cimitero ebraico di Praga. Ormai abbandonato, vi erano quasi dodicimila lapidi in uno spazio molto angusto, ma le sepolture dovevano essere molte di più perché, nel corso di alcuni secoli, molti strati di terra erano stati sovrapposti. Dopo che il cimitero era stato abbandonato qualcuno aveva rialzato alcune tombe sepolte, con le loro lapidi, così che si era creato come un ammassamento irregolare di pietre mortuarie inclinate in tutte le direzioni (o forse erano stati gli ebrei a infiggerle così senza riguardo, estranei com’erano a ogni sentimento del bello e dell’ordine)» (p. 120-121).   Simonini ha sotto gli occhi le incisioni di un vecchio libro. Nel romanzo però non viene riportata nessuna immagine antica che possa accoppiarsi alla descrizione appena letta, secondo un procedimento consueto nella costruzione di questo testo. Chissà che Eco non avesse sotto gli occhi non le incisioni di un antico libro, ma alcune delle molte fotografie del cimitero ebraico che sicuramente già popolavano la rete nel momento della scrittura del romanzo. O, azzardiamo, chissà che non avesse in mano questo libro. Non possiamo dirlo, ma osservare alcune di queste foto ci sembra la maniera migliore di chiudere questa carrellata dedicata a Il cimitero di Praga.   The old Prague Jewish Cemetery, [photographien: Jean Lukas ; text: Jindrich Lion], [Praga], Artia, 1960. Collocazione: ARCANGELI D. 395
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Adriano Prosperi, Cambiare la storia (2024)
A testimonianza dell’interesse che il tema delle falsificazioni di documenti suscita in campo storico, segnaliamo un libro uscito proprio nei giorni in cui il Gruppo di lettura si è incontrato per parlare de Il cimitero di Praga. Adriano Prosperi dedica ai Protocolli l’ultimo capitolo di questo libro, intitolato Nasce il falso veridico (p. 105-128).
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